Gela. “I lavoratori dell’indotto hanno sempre assicurato la piena efficienza della fabbrica e, per tutta risposta, Eni vorrebbe cancellarli. L’azienda ha perso di vista il protocollo siglato nell’estate di due anni fa e così non va bene”.
Il segretario provinciale della Uilm Nicola Calabrese chiede un passo indietro ai manager di raffineria davanti al paventato ridimensionamento della fabbrica che andrebbe a gravare, appunto, sui tanti operai dell’indotto. Lo ha fatto nel corso del direttivo convocato all’indomani della protesta. “Noi – continua – non dimentichiamo i lavoratori ancora fuori dalla fabbrica, dagli ex Comeco agli ex Implaca, e neanche quelli che attendono di essere assorbiti da Sicilsaldo e Ergo Meccanica”.
Gela come Termini Imerese? Non sembra pensarla in questo modo il segretario regionale dei metalmeccanici Uil Silvio Vicari. “Parliamo di realtà industriali del tutto diverse – ammette – il gruppo Eni si basa su un’ampia partecipazione azionaria statale. Purtroppo, a differenza di ciò che si verificò a Termini Imerese, ho notato l’assenza della città nella vertenza dei lavoratori della fabbrica”. I timori degli operai dell’indotto vengono sposati anche dalla categoria dei chimici, come confermato dall’esponente della Uiltec Maurizio Castania. “Attenzione – dice – il rischio non è solo dell’indotto. Con un eventuale impegno industriale verso la sola bioraffinazione si perderanno decine di posti di lavoro nel diretto. Dobbiamo fare tutti molta attenzione, senza contrapporci”.
E la politica? “Questa – conclude il componente della segreteria regionale della Uil Salvatore Pasqualetto – non è una vertenza come tutte le altre. E’ una vetenza politica prima che sindacale. Per questa ragione, chi ci rappresenta a livello locale deve assumere posizioni forti”.