Gela. “Mi accorsi di essere solo un prestanome. In società, decidevano tutto Grazio Trufolo e Giovanni Pannuzzo. Così, lasciai l’incarico di amministratore delegato nel maggio del 2007”.
Il crack Emi. Nonostante la scelta, è comunque arrivata la condanna per l’ottantasettenne Paolo Lizzio, ex amministratore della società Emi, per alcuni anni impegnata nell’indotto della fabbrica Eni. L’anziano imputato era accusato della bancarotta aziendale, con un passivo da quasi quaranta milioni di euro. “Già la settimana successiva alle dimissioni – ha detto – venne cambiata la serratura della porta del mio ufficio. Praticamente, mi impedirono di entrare. Poco tempo dopo, quegli uffici non c’erano più”. Lizzio, rispondendo alle domande del suo difensore di fiducia, l’avvocato Joseph Donegani, ha ribadito che le scelte della società erano dettate proprio da Trufolo e Pannuzzo. “Io facevo il caposquadra – ha continuato – firmavo gli assegni per i pagamenti ai fornitori. C’era un commercialista che si occupava dei bilanci”. Per i magistrati della procura, l’imputato avrebbe omesso di presentare bilanci e atti contabili dell’azienda. “Tra le ultime firme – ha continuato – ricordo quella per il passaggio del ramo d’azienda dalla Emi alla Cispe. Poi, non ho saputo più nulla”. Il pm Antonio D’Antona ha chiesto la condanna a due anni di reclusione. Il difensore, invece, ha sottolineato che le responsabilità principali andavano accertate sugli effettivi proprietari della Emi. Per l’avvocato Donegani, quindi, Lizzio avrebbe saputo ben poco della massa debitoria e di quanto accadeva nella gestione della Emi. Alla fine, il collegio penale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Tiziana Landoni ed Ersilia Guzzetta, ha optato per la condanna a due anni di reclusione, con pena sospesa.