Gela. A lui, gli investigatori, coordinati dai pm della Dda di Caltanissetta e da quelli romani, arrivarono nel corso della maxi inchiesta “Extra fines-Druso” che condusse all’arresto del boss Salvatore Rinzivillo, che si era messo a capo dell’omonimo clan e che attualmente è ristretto sotto regime di 41 bis, proprio per i fatti dell’indagine. I giudici del Tar Lazio hanno confermato il provvedimento che determinò la perdita “del grado per rimozione per motivi disciplinari” del carabiniere Marco Lazzari. Più volte a giudizio per le vicende del blitz “Extra fines-Druso”, per gli inquirenti sarebbe stato lui, insieme ad un altro militare dell’arma, ad effettuare accessi abusivi ai sistemi informatici in dotazione alle forze dell’ordine, al fine di acquisire dati e informazioni, per poi comunicarli proprio a Rinzivillo. Vicende che hanno generato giudizi penali, conclusi con condanna. Nel periodo finito sotto la stretta osservazione dell’antimafia, Petrone operava per l’Aisi, i servizi segreti interni. I suoi legali si sono rivolti ai magistrati del Tar Lazio per contestare la decisione della perdita del grado per rimozione, formalizzata dal Ministero della difesa, attraverso la direzione generale del personale. Hanno insistito sull’assenza delle condizioni necessarie e ancora sul fatto che al momento della decisione i procedimenti penali erano in corso e non definitivi.
In base a ciò che riporta la sentenza, i magistrati sottolineano però che “il quadro accusatorio resta quindi grave” e inoltre “confermando la sussistenza delle gravi condotte che avevano originato la reazione disciplinare dell’amministrazione militare, prima in via cautelativa nel 2017 con la sospensione e, quindi, nel 2019 con l’irrogazione della sanzione di stato della perdita del grado oggetto di questo giudizio. Quanto alle obiezioni di ordine formale prospettate dal ricorrente è appena il caso di ricordare la relazione di autonomia che intercorre tra il procedimento disciplinare e quello penale, fatto salvo il solo vincolo promanante dall’accertamento negativo del fatto ovvero della sua commissione da parte dell’accusato intervenuto in sede penale”. La decisione del Ministero della difesa, aggiungono i giudici, “non presenta evidenti errori o illogicità, a fronte comunque di fatti connotati da oggettiva gravità in assoluto e in relazione alla delicatissima funzione ricoperta dall’accusato, all’epoca nei servizi di intelligence”. Ragioni che hanno condotto a respingere il ricorso. In alcuni dei procedimenti penali che li videro coinvolti, soprattutto per l’accesso ai sistemi informatici, per i carabinieri venne meno l’aggravante mafiosa.