Gela. “Non sono un mafioso che gira per la città a fare estorsioni. Chi mi ha denunciato sa bene che i soldi non li ho chiesti io”.
La presunta richiesta di denaro. Nunzio Parisi si è difeso, in aula, davanti al giudice Miriam D’Amore, durante il dibattimento avviato ai suoi danni con l’accusa di estorsione. Vittime i titolari di una piccola azienda edile della città. In base alle contestazioni mosse dai magistrati della procura, Parisi avrebbe chiesto denaro per restituire un mezzo e materiali rubati dal cantiere dell’azienda. Un vero e proprio cavallo di ritorno, stando anche a quanto ricostruito dai carabinieri. Ci sarebbe stato lo stesso imputato dietro al furto. “Sono stato contattato dai figli del proprietario dell’azienda che mi chiesero di verificare se c’era la possibilità di riavere il mezzo rubato e il materiale – ha spiegato – loro lo negano ma anche prima del furto mi conoscevano. Ho sbagliato solo a portare i soldi a chi li aveva anche minacciati. Alla fine, ero riuscito ad avere una riduzione rispetto ai mille euro che erano stati chiesti”. Parisi ha risposto alle domande del pubblico ministero Pamela Cellura e a quelle del suo difensore di fiducia, l’avvocato Davide Limoncello. Nel procedimento, parte civile è l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, con l’avvocato Giuseppe Panebianco. Proprio il presidente dell’antiracket Renzo Caponetti accompagnò dai carabinieri del reparto territoriale i titolari dell’azienda, così che potessero segnalare quanto accaduto. La difesa di Parisi ha chiamato a testimoniare anche un conoscente dell’imputato che ha raccontato quanto accaduto nei giorni successivi al furto. “Mio padre conosce molto bene il titolare dell’azienda – ha detto – così, dopo aver saputo del furto abbiamo iniziato a chiedere in giro. Tra gli altri, abbiamo chiesto anche a Nunzio Parisi che conosco molto bene”. Nuovi testimoni verranno sentiti all’udienza del prossimo 21 giugno.