“Ha ucciso Bellomo”, sentenza ribaltata: Cafà condannato a 26 anni di carcere

 
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Gela. Dopo 4 ore di camera di consiglio il presidente della corte d’Assise d’appello Salvatore Cardinale ha pronunciato la sentenza: E’ stato Domenico Giuseppe Cafà ad uccidere Luciano Bellomo la sera del 24 settembre del 2007 in viale Enrico Mattei.

Per i giudici Cafà, assolto in primo grado, ha agito con premeditazione. La corte ha però concesso le attenuanti generiche. Stabilite anche le provvisionali per i familiari di Bellomo. Un silenzio irreale ha caratterizzato il momento della lettura della sentenza, cui hanno preso parte anche il padre e il fratello dell’imputato, oltre che i familiari di Luciano Bellomo.

Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 90 giorni.  Il procuratore generale Ferdinando Assaro aveva chiesto l’ergastolo. Determinanti sono state le intercettazioni telefoniche ed ambientali che incastrerebbero l’imputato. La procura gelese e il commissariato concentrarono immediatamente i propri sospetti su Cafà e Emanuele Curvà, suo complice e già condannato in due gradi di giudizio a 17 anni e mezzo di carcere.

Per l’accusa invece ci sono prove a sufficienza per confermare che sia stato l’imputato ad uccidere Luciano Bellomo. Nel ripercorrere tutte le fasi dell’omicidio l’accusa ha ricordato che Bellomo era stato vittima di “pedinamenti ostili” da parte di Cafà e Curvà. Bellomo era stato denunciato dalla sua ex collaboratrice per molestie e violenza ma l’accusa ha rimarcato che altri due ex datori di lavoro avevano subito la stessa sorte, ovvero erano stati denunciati con le stesse accuse. Tra gli elementi di prova le conversazioni tra Emanuele Curvà e Domenico Giuseppe Cafà in auto tra giugno e luglio del 2009 in cui lo stesso si vantava di aver partecipato al delitto. E poi il tampon kit. 

Bellomo venne freddato in viale Enrico Mattei all’interno della Hiunday. Secondo i giudici di primo grado le probabilità che sia stato Cafà ad uccidere Bellomo erano altissime, ma la mancanza di una ipotesi alternativa e una certa contraddittorietà degli indizi a carico dell’imputato imponevano l’assoluzione. Ora la svolta.

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