Gela. Lettere minatorie, accompagnate dalle foto che ritraevano i suoi familiari anche nei pressi dei luoghi di lavoro, e l’incendio della targa posta all’ingresso dello studio professionale. L’avvocato Davide Limoncello, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, era diventato vittima di un’azione costante, organizzata per farlo desistere dalla difesa di una sua cliente. Per gli investigatori, le accuse vanno mosse al fratello della cliente, Massimiliano Robilatte, e a chi avrebbe materialmente appiccato le fiamme alla tabella all’ingresso dello studio, Cristian Esposito Ferrara. Sono a processo per rispondere pure di altre contestazioni. Robilatte, ritengono i pm della procura, avrebbe sottratto documentazione alla sorella. Le lettere di minacce furono tre, tutte recapitate al legale, a cadenza quasi semestrale. Il contenuto sarebbe diventato via via sempre più pesante, per la presenza di foto dei familiari del professionista. Il legale denunciò tutto facendo partire le indagini. Sia lui che la cliente sono parti civili, assistiti dagli avvocati Giovanni Tomasi e Alessandra Campailla. Gli imputati invece sono rappresentati dai legali Flavio Sinatra e Maurizio Scicolone. Il dibattimento è stato aperto davanti al giudice Marica Marino. I fatti si protrassero nell’arco di circa tre anni, parallelamente alle contese giudiziarie che toccarono Robilatte e la sorella.
Secondo gli inquirenti, gli imputati avrebbero voluto che l’avvocato Limoncello facesse un passo indietro, rinunciando alla difesa della sua assistita. Vicende che hanno inciso sulla serenità del professionista e dei suoi familiari, presi di mira. L’incendio danneggiò inoltre la targa all’esterno dello studio professionale del fratello dell’avvocato. Il liquido infiammabile sarebbe potuto arrivare fino alle auto parcheggiate a poca distanza, cosa che non si verificò.