Roma. Una rappresentanza della Camera “Eschilo” all’inaugurazione dell’anno giudiziario degli avvocati penalisti, tenutasi a Roma in questo fine settimana. L’avvocato Angelo Gaccione ha partecipato alla due giorni, che ha visto susseguirsi dibattiti e interventi istituzionali, compresi quelli del ministro della giustizia Carlo Nordio e del viceministro Paolo Sisto. Un conclave tenutosi all’indomani dell’astensione di tre giorni indetta a livello nazionale dagli avvocati penalisti, contro le restrizioni del diritto di difesa e il sovraffollamento carcerario. Nella prima sessione di venerdì, i penalisti hanno posto l’accento sul “processo come ostacolo” per stigmatizzare negativamente ogni riforma che, seppure indirettamente, introduce nuovi e inutili orpelli formali al pieno esercizio del diritto di difesa, che trova tutela nell’articolo 24 della Costituzione. Il principio dell’oralità, caposaldo del processo accusatorio, è condizionato nel suo concreto esercizio in sede di impugnazione dalla necessaria richiesta di discussione del difensore, da avanzarsi entro precisi termini temporali, che deve essere “autorizzata” dall’ufficio giudicante. La valutazione nel merito in sede di appello della legittimità della condanna di primo grado (e, quindi, il giudizio sulla libertà personale di una persona) è barattata con la presenza di una formale indicazione del domicilio, dove il condannato intenda ricevere le carte del processo, oppure, per l’imputato giudicato in assenza in primo grado, con il conferimento di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la sentenza di condanna. La seconda sessione, ribattezzata “la fabbrica dei reati”, ha inteso evidenziare, a difesa dei principi legislativi del diritto penale minimo e della sanzione penale come extrema ratio da applicare unicamente ai fatti, rispetto ai quali ogni altra risposta punitiva sia risultata inefficace, la tendenza dell’attuale legislazione penale con incremento delle fattispecie di reato (dal delitto di rave, all’omicidio nautico e alle lesioni nautiche, passando per l’abbandono di rifiuti e il reato di stesa ovvero pubblica intimidazione con uso di armi, per finire con il reato sull’obbligo di istruzione o l’induzione e costrizione all’accattonaggio, ecc.) e del trattamento sanzionatorio (come per i reati di lieve entità legati alla droga). Questo moltiplicarsi di figure criminose rende praticamente impossibile conoscere tutte le ipotesi di reato con conseguente perdita di legalità e grave pregiudizio alla funzione generalpreventiva e dissuasiva, a cui la norma incriminatrice deve assolvere, di contro, determinando la crescita abnorme del numero dei procedimenti penali con lunga e irragionevole durata degli stessi.
Nella giornata di sabato, i penalisti italiani hanno discusso del tema “il carcere come destino”. Ancora una volta l’attenzione si è posta sulla tendenza carcero-centrica dell’attuale visione governativa del sistema penale. Di fronte al sovraffollamento delle carceri sempre più grave (si è passati dai 30.000 detenuti degli anni novanta del secolo scorso agli attuali 60.000 carcerati), pur in presenza di una profonda riduzione dei reati più gravi (nello stesso periodo temporale gli omicidi sono scesi da 1.900 agli attuali poco più di 300), le Camere penali hanno denunziato l’equivoco in cui è caduta l’attuale maggioranza di governo, declinando in termini securitari e popolustici, come certezza del carcere, il principio liberale della certezza della pena da intendersi, invece, quale diritto di ogni cittadino a conoscere, previamente, la pena che gli sarà inflitta se commetterà un determinato reato. Cosicché, i penalisti hanno evidenziato come sia sociologicamente più utile, nel rispetto della funzione rieducativa della pena, preoccuparsi non di quando il detenuto ritornerà in libertà ma come vi ritornerà, dovendosi garantire non solo la presunzione di non colpevolezza dell’imputato ma anche quella di ricuperabilità del condannato. I difensori penalisti hanno, così, provocatoriamente auspicato, parafrasando la felice intuizione di don Franco, cappellano di Poggioreale, di “arrestare il carcere perché è socialmente pericoloso” per tendere alla realizzazione di un diritto penale, effettivamente, liberale e costituzionale in difesa delle garanzie dell’imputato e della dignità del condannato.