Gela. Ieri, la seduta di consiglio comunale si è infiammata su punti che si trascinano da mesi, quelli per la rideterminazione delle aliquote di Imu e Irpef, imposta dal dissesto. Il presidente di “Moto civico” Filippo Guzzardi considera infondata l’intera questione. Il Comune è ormai fuori tempo massimo. “L’articolo 251 del Testo unico enti locali, contiene una serie di norme chiare ed inequivocabili, non si capisce pertanto l’eccesivo nervosismo a cui abbiamo dovuto assistere ieri in aula sulla attivazione delle entrate proprie in seguito alla dichiarazione di dissesto. Ai sensi del primo comma, almeno la prima delle delibere sull’aumento delle aliquote e le tariffe di base nella misura massima consentita, relativamente alle imposte e tasse locali di spettanza dell’ente locale dissestato, diverse dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, che inaugura di fatto l’attivazione delle entrate proprie in regime di dissesto, deve vedere iniziato l’iter di deliberazione comunque entro trenta giorni dalla data di esecutività della delibera, quindi entro la fine del 2023. Posporre l’iter di deliberazione nel 2024 e cioè dopo il termine perentorio dei trenta giorni dalla dichiarazione di dissesto, significa che ai sensi del comma successivo, in caso di mancata adozione della delibera nei termini predetti l’organo regionale di controllo procede a norma dell’articolo 136 del Tuel, cioè la Regione siciliana nomina un commissario ad acta che provvede sostituendosi al consiglio comunale. Sperando peraltro che lo faccia entro un eventuale controllo statale, giacché ai sensi del sesto ed ultimo comma, nel caso di mancata osservanza delle disposizioni di cui ai predetti commi sono sospesi i contributi erariali». Sarebbe la beffa oltra il danno, ingente, già inflitto alla città ed ai cittadini. Soprattutto, è stato letteralmente ignorato in aula il secondo comma dell’articolo 251 laddove stabilisce espressamente che le delibere hanno validità di cinque anni che decorrono dall’ipotesi di bilancio riequilibrato e non dalla dichiarazione di dissesto. Quindi l’esercizio in cui vanno applicate è quello della delibera di ipotesi del bilancio riequilibrato che deve essere ancor prodotto. L’esercizio di applicazione degli aumenti nella misura massima consentita non può essere dunque il 2023, con effetto inevitabilmente retroattivo. Un principio richiamato incidentalmente dalla consigliere Ascia menzionando una sentenza della commissione tributaria ennese. E’ chiaramente disposto dal secondo comma dell’art.251. Altresì, il successivo comma 4 precisa ulteriormente che «resta fermo il potere dell’ente dissestato di deliberare, secondo le competenze, le modalità, i termini ed i limiti stabiliti dalle disposizioni vigenti, le maggiorazioni, riduzioni, detrazioni e agevolazioni previste per le imposte e tasse di cui ai commi 1 e 3, nonché di deliberare la maggiore aliquota dell’imposta comunale sugli immobili consentita per straordinarie esigenze di bilancio». Vale la pena di ricordare, in proposito, che dal 2013 è stata istituita l’Imposta unica comunale che è formata da 3 componenti: Imu, Tari e Tasi. Posto che la Tari è commisurata esclusivamente alla copertura dei costi del servizio di gestione a cui è destinata e, quindi, non rientra nel novero delle misure suscettibili di essere graduate in seguito alla dichiarazione di dissesto, per quanto riguarda invece Imu e Tasi, la somma di queste due aliquote non può superare il 6 per 1000 nel caso di abitazioni principali e il 10,6 per mille con riguardo agli altri immobili. Ne consegue che se si stabilisce di innalzare l’aliquota Imu al 6×1000 per le abitazioni principali, l’aliquota Tasi va necessariamente azzerata. Viceversa, se si stabilisce l’aliquota Tasi al 2,5 x 1000 (misura massima consentita per la singola componente Tasi), l’aliquota Imu può essere al massimo innalzata al 3,5×1000, la somma non può oltrepassare il 6×1000. Ed è sempre possibile prevedere detrazioni per le abitazioni principali, ovvero aliquote concordate su alcuni tipi di immobili”, riporta una nota di “Moto civico”.
“Sull’addizionale Irpef valgono le stesse considerazioni, ma è una prassi consolidata, riscontrabile agevolmente attraverso apposita indagine empirica, che vede i Comuni in dissesto applicare la misura massima consentita dello 0,80, derogando al carattere di progressività per scaglioni di reddito. Rimane però possibile, proprio ai sensi del comma 4 dell’articolo 251, prevedere una soglia reddituale minima di esenzione. Ci sarebbero poi altre entrate proprie su cui si può far leva ed agire. Come le tariffe Cosap, una tipologia che comprende una ventina di canoni di occupazione spazi ed aree pubbliche. Senza dimenticare altre tipologie ricche di opzioni, come le tariffe inerenti l’imposta comunale sulle pubblicità e sui diritti sulle pubbliche affissioni”, aggiunge Guzzardi.