Gela. Gli imputati, finiti nell’inchiesta “Sant’Ippolito”, furono monitorati per diverso tempo dagli agenti di polizia. L’attenzione si concentrò anche su un bar, nella zona di via Recanati. Pare che in quell’area si concentrasse l’attività di spaccio di droga. E’ stato riferito, in settimana, da uno dei poliziotti che si occupò di appostamenti e intercettazioni. “Collocammo una telecamera”, ha spiegato. Venne messa sotto controllo anche la vettura di uno dei coinvolti, Paolo Di Giacomo, per il quale in abbreviato è maturata la prescrizione. Nei suoi confronti, lo scorso aprile, è stato deciso il “non doversi procedere”. Lo stesso Di Giacomo venne individuato, in diverse occasioni, insieme a Gaetano Marino, assolto in abbreviato con la formula “il fatto non sussiste”. “Parlavano dei venti chili di hashish che vennero sequestrati allo zio di Marino”, ha detto il poliziotto. Il testimone ha comunque precisato che vennero effettuati sequestri “solo di piccoli quantitativi”. Sono a processo, davanti al giudice Miriam D’Amore, Claudio Lombardo, Daisy Scaglia, Claudio Nardo, Luigi Rodoti, Giacomo Molara, Orazio Valenti, Giacomo Tumminelli e Francesco Antonuccio.
Gli imputati hanno sempre negato attività di spaccio. Hanno escluso l’esistenza di una rete, organizzata per piazzare la droga. I coinvolti sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Davide Limoncello, Flavio Sinatra Giusy Ialazzo, Francesco Enia, Antonio Gagliano, Giuseppe Cascino, Maria Cascino, Giuseppe Fiorenza e Paola Carfì. Nel corso dell’udienza, sono state richiamate le posizioni di altri due coinvolti, compresa una giovane accusata di aver venduto droga ad un minore.