Spari in via Venezia, otto anni e sei mesi a Parisi: esclusa l’aggravante mafiosa

 
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Gela. La richiesta finale formulata dal pm della Dda di Caltanissetta Davide Spina era di tredici anni di detenzione. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Fabrizio Giannola), ha disposto la condanna ad otto anni e sei mesi per John Parisi. Era accusato di tentato omicidio. Due anni fa sparò contro un’auto in transito su un tratto di via Venezia. Per gli inquirenti, l’obiettivo prescelto era Carmelo Raniolo (ha seguito il procedimento senza costituirsi per il tramite dei legali Nicoletta Cauchi e Floriana Trainito), padre della sua compagna. Riportò una ferita alla mano. Gli investigatori però sono certi che l’azione fosse finalizzata ad un vero e proprio agguato per ucciderlo. Non è mai stato individuato il presunto complice che era in sella allo scooter condotto da Parisi. Neanche la pistola è stata ritrovata. Nelle dichiarazioni spontanee, rese in forma scritta, l’imputato ha ammesso di aver fatto fuoco ma solo per impaurire Raniolo. Agì a volto scoperto e venne subito riconosciuto da chi era alla guida dell’auto. Due colpi raggiunsero la vettura. Il ferito non si recò in ospedale e venne successivamente rintracciato dai poliziotti che avviarono verifiche. L’accusa ha insistito sul collegamento con un movente di mafia. Il pubblico ministero ha ricordato la collocazione di Raniolo nel gruppo di Cosa nostra. Parisi, invece, è considerato vicino agli stiddari e sono state riportate le dichiarazioni rese dal collaboratore Giovanni Canotto. “Sulla mano si è fatto tatuare la stella, a riprova della sua appartenenza”, ha detto il pm. Il collegio ha però escluso l’aggravante di mafia e quella dei futili motivi. Ha invece indicato la premeditazione nell’azione messa in atto in via Venezia. La difesa, sostenuta dal legale Davide Limoncello, ha sviluppato una ricostruzione diversa da quella avanzata dalla Dda. Si sarebbe trattato, per il legale, di un fatto da riferire solo a dissapori familiari. “Parisi non ha agito per uccidere – ha spiegato la difesa – sa usare le armi e da una distanza così ridotta, se avesse voluto, avrebbe potuto uccidere sfruttando l’intero caricatore della 7,65. Invece, ha sparato solo per intimorire Raniolo. Non è un caso che il ferito sia stato colpito solo ad una mano. Poi, Parisi ha avuto la lucidità di centrare una ruota dell’auto quando si accorse che stavano per investirlo”.

La difesa, ammettendo comunque che ad agire fu appunto Parisi, ha rimarcato più volte l’assenza di qualsiasi ipotesi di mafia. “Raniolo ha precedenti che risalgono ad anni fa e non è più in quel contesto – ha detto ancora – Parisi non è mai stato coinvolto in inchieste antimafia. Ha delle parentele e non c’entra nulla il tatuaggio”. Non a caso, è stato ricordato che il riesame escluse l’ipotesi della criminalità organizzata. Anni fa, sempre l’imputato venne condannato per aver ferito un rivale, a colpi di arma da fuoco. Non venne contestato il tentato omicidio. Con il riconoscimento della continuazione tra i capi di accusa, il dispositivo ha definito la pena per l’imputato. La difesa ha fatto sapere che, a seguito delle successive motivazioni, impugnerà in appello.

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