Gela. La procura generale, negli scorsi mesi, ha chiesto la conferma delle condanne emesse in primo grado. Conclusioni respinte invece dai difensori degli imputati, accusati di omicidio colposo per la morte dell’operaio Francesco Romano, schiacciato da un tubo da otto tonnellate staccatosi da una catasta collocata lungo la radice pontile della fabbrica Eni. Romano trovò la morte undici anni fa. Oggi, è toccato al pm Luigi Lo Valvo, che ha seguito il procedimento anche in primo grado, e al legale di parte civile, l’avvocato Salvo Macrì (nell’interesse della moglie e delle figlie del lavoratore), esporre le rispettive repliche. La decisione dei giudici di appello della corte nissena è prevista per gennaio, al termine delle repliche che spettano ai legali di difesa. Nel procedimento di primo grado, l’accusa concluse per l’assenza di misure di precauzione in un cantiere che venne ritenuto non sicuro. Le condanne sono state impugnate dalle difese. Per la procura generale vanno appunto confermate. Inoltre, è stato chiesto l’accoglimento dell’appello per le posizioni degli imputati che vennero assolti. Al termine del giudizio davanti al tribunale di Gela, fu deciso un anno e otto mesi per Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta.
Tutte pronunce con pena sospesa. Le uniche assoluzioni furono emesse per le posizioni di Guerino Valenti, Fabrizio Lami e Ignazio Vassallo. Le difese escludono che possa esserci stato un nesso tra l’accaduto e il ruolo degli imputati: manager di Eni, responsabili delle società di controllo e anche di quella dell’indotto per la quale lavorava Romano, la Cosmi Sud. Alle aziende, in relazione alle responsabilità amministrative, in primo grado fu imposto il pagamento di trecento quote (da 500 euro). Decisione che tocca Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec. I familiari dell’operaio morto sono usciti dal procedimento, a seguito di un accordo transattivo. Rimane la costituzione della moglie, nell’interesse delle figlie.