Fuga dalla Sicilia. Quante volte, in gioventù ma anche dopo, ci siamo guardati intorno nel nostro paese troppo spesso al di fuori delle luci dei proiettori e delle attenzioni del mondo e abbiamo pensato: “Ma perché sono nato proprio qui, in questo angolo sperduto d’Italia, e non a Roma, a Milano, o meglio, in America?”.
Lì, lontano, nelle grandi città, sì che c’è la vita, la vita vera, piena d’incontri, di cultura e divertimenti, al centro di tutto. Domande perfettamente legittime, dettate dalla fantasia o da esperienza personale, c’è, infatti, chi rimane nel proprio paese natale e c’è invece chi invece parte alla ricerca di una vita in un ambiente del tutto nuovo. La vera domanda a questo è: il nostro immaginario della vita metropolitana è realistico oppure è ispirato dall’illusione di una vita futura migliore?
Forse sono le nostre difficoltà attuali a spingerci a sognare l’America, forse. Questi temi, così profondi e così comuni, hanno investito anche il regista Paolo Virzì, figlio di un carabiniere siciliano e cresciuto a Livorno, città della madre. Virzì ha ereditato dalla sua storia familiare i numerosi interrogativi espressi nel film del 2002 “My Name Is Tanino” e tali interrogativi, si sono rafforzati nelle sue esperienze giovanili, quando per motivi di studio si trasferì dalla città di mare Toscana a Roma e, come molti di noi, ha potuto costatare se le aspettative di un ragazzo di provincia sul vivere in città sono mantenute oppure no.
La storia. L’avventura di Gaetano Mendollia, è quella di un ragazzo comune che, mosso da sentimenti di cambiamento, viene catapultato in un mondo del tutto nuovo, un mondo che credeva di capire ma non capisce.
Una favola on the road. Un po’ Divina Commedia, per la tendenza del protagonista piuttosto dantesca di svenire nei momenti di difficoltà, un po’ Alice nel paese delle meraviglie, soprattutto quest’ultima, la trama si articola sul tema del viaggio e sui vari incontri che farà il nostro Tanino, straordinari ai limiti dell’assurdo, stereotipati fino a diventare surreali, inevitabilmente metaforici. Orfano di padre, studente di cinematografia, più appassionato che competente, passa le sue giornate parlando, meglio ascoltando i discorsi del fidato amico Giuseppe sui danni del capitalismo, la crisi della sinistra, la necessità della causa socialista.
Volere qualcosa di più. Tanino è terribilmente annoiato, si sente represso dalla vita tranquilla di Castelluzzo del Golfo, vuole andare via, ogni tanto va a dare un esame a Roma, più che altro per fuggire dalla quotidianità del paesino siciliano, fughe mai definitive, sono come delle prove di ciò che progetta di fare ma non ha mai fatto. Come per Alice, c’è bisogno di un intervento esterno per convincersi a prendere la decisione di agire e in questo caso, il Bianconiglio è Sally Garfield, tipica studentessa americana venuta in Sicilia per studiarne l’arte e per divertirsi, dopo una breve relazione, questa partirà e Tanino sentirà fortemente l’istinto di seguirla. Per la verità c’è un altro piccolo Bianconilgio, a causa dei suoi scarsi risultati all’università, Tanino non può più esimersi dall’obbligo di leva militare, la cosa non gli va per niente e tramite un complicato giro di parentele tra emigrati e rimasti, riesce finalmente a partire per gli Stati Uniti d’America. Qui, come un pesce fuor d’acqua, approda con indosso una felpa dei CCCP, scoprirà che la terra delle libertà non è esattamente come se la aspettava, trascinato dagli eventi, farà fatica a capire cosa gli sta succedendo, scoprirà anche che gli ideali con cui era partito non erano saldi come pensava, e così più che vedere realizzati i propri desideri, rischierà adattarsi alle brutture del nuovo mondo. Sarà la sua semplicità di ragazzo di provincia a preservarlo dalla corruzione e dal cinismo.
Ai gelesi. Mi rivolgo a voi lettori e concittadini, tanti di noi si sono ritrovati a vivere esperienze simili per volontà o per costrizione. Come avete vissuto il passaggio tra realtà cosi diverse? Viviamo in tanti piccoli pianeti oppure in un unico mondo che si ripete sempre uguale?