“Diceva di essere dei servizi segreti”, Missuto accusa Cassarà: “Voleva i soldi per le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”

 
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Gela. “Diceva di essere un infiltrato dei servizi segreti, comunque molto vicino ai magistrati della Dda di Caltanissetta. Mi chiese i soldi per aggiustare le dichiarazioni che il collaboratore Roberto Di Stefano aveva reso sul mio conto”.

Le presunte richieste. E’ stato l’imprenditore Sandro Missuto a raccontare quanto accaduto durante due incontri avuti con Nicolò Cassarà, a sua volta titolare di una cava di inerti in città. Lo stesso Cassarà si trova a processo davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Marica Marino e Silvia Passanisi. Deve rispondere delle presunte richieste estorsive. Sandro Missuto e l’altro imprenditore Francesco Cammarata sono parti civili con gli avvocati Antonio Gagliano, Francesco La Rosa e Luigi Miceli. “Lo incontrai – ha proseguito Missuto – sia all’interno del bar di una stazione di servizio sia nell’azienda di mio padre. Ho registrato tutte le conversazioni. Mi disse, inoltre, che era stato lui ad aver convinto Roberto Di Stefano e Emanuele Terlati a collaborare con la giustizia. Inoltre, mi fece capire che avrebbe potuto intercedere con i magistrati rispetto alla mia vicenda processuale”. L’imprenditore, però, decise di denunciare tutto agli agenti di polizia. In aula, ha risposto alle domande del pubblico ministero della Dda di Caltanissetta Maria Carolina De Pasquale e a quelle del difensore dell’imputato, l’avvocato Giovanni Lomonaco. Proprio la difesa ha messo in dubbio la ricostruzione fornita da Missuto, sottolineando diverse incongruenze anche rispetto alla somma di denaro che sarebbe stata chiesta da Cassarà, ovvero circa cinquecento euro. “Già in passato – ha concluso Missuto – Cassarà mi aveva chiesto soldi rispetto alle dichiarazioni che sarebbero state rilasciate da Emanuele Terlati sempre nei miei confronti”. Nel corso dell’udienza, è stato sentito anche uno dei funzionari della squadra mobile di Caltanissetta che si occupò di seguire l’inchiesta “Fabula”, incentrata anche su queste vicende. 

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