“Cosa nostra gelese era entrata in Lombardia”, arrivano le prime richieste di condanna nel giudizio “Tagli pregiati”

 
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Gela. “L’arresto del “gran maestro” Antonio Rinzivillo causò un’implosione dentro cosa nostra gelese, anche al nord. Gli Emmanuello volevano entrare a Busto Arsizio, collaborando con i Rinzivillo. Alla fine, però, tutto fallì”.

Le prime richieste di condanna. Il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Gabriele Paci lo ha detto nel corso della sua requisitoria, a conclusione del dibattimento scaturito dalla maxi inchiesta antimafia “Tagli pregiati”. Le indagini della Dda nissena si concentrarono proprio sugli affari di cosa nostra gelese nel nord Italia, soprattutto in Lombardia. In un’aula resa gelida dalle basse temperature degli ultimi giorni, i pm della Dda hanno esposto le prime conclusioni. Si tornerà in aula il 25 gennaio. Il presidente del collegio penale Lirio Conti, a latere Marica Marino e Silvia Passanisi, ha optato per un rinvio anche a seguito proprio delle basse temperature registrate in aula e dell’esigenza dei pm di illustrare al meglio le conclusioni relative a tutti gli imputati. Per l’accusa, inoltre, lo scenario criminale locale sarebbe andato ben oltre i soli sodalizi di stidda e cosa nostra. “Fecero il loro ingresso – ha proseguito il pm – anche gli uomini di Peppe Alferi. Il suo gruppo veniva inizialmente considerato come una sorte di agenzia di servizio per la manovalanza criminale. Incendi, danneggiamenti, furti, cavalli di ritorno, venivano appaltati ad Alferi e ai suoi”. Non a caso, stando all’accusa, ci sarebbero gli elementi per chiedere la condanna di Francesco D’Amico, Claudio e Vincenzo Alfieri. I pm hanno chiesto la condanna a nove anni ciascuno di reclusione, ancora, per Mirko Valente, Patrizio D’Angio e Salvatore Arria. Sono considerati tra gli organizzatori di un vasto giro di droga che avrebbe coinvolto il gruppo dei Rinzivillo, al centro dell’inchiesta “Tagli pregiati”. Droga che sarebbe stata movimentata in diverse regioni italiane. Mancherebbero, invece, gli elementi per individuare la responsabilità penale di un altro degli imputati, ovvero Simone Di Simone. “Si avvicinò al gruppo – ha spiegato il pm Gabriele Paci – perché c’era la necessità di avere a disposizione esperti che si occupassero di falsare atti e documenti, soprattutto contabili, nel tentativo di acquisire finanziamenti”. La prescrizione è arrivata per Ileana Curti, nei cui confronti è rimasta in piedi solo l’accusa di favoreggiamento. L’imputata, per alcuni anni, lavorò alla dipendenze di Angelo Bernascone, un imprenditore che sarebbe stato utilizzato dal gruppo Rinzivillo per insediarsi nel nord Italia. Lo stesso Bernascone, in apertura d’udienza, ha voluto rendere dichiarazioni spontanee. E’ attualmente sottoposto al programma speciale di protezione per i collaboratori di giustizia. “Sono stato vittima dei fratelli Rinzivillo – ha detto davanti al collegio penale – lavoravo con la mia azienda metalmeccanica e non conoscevo questi ambienti. Prima del 2000, tutto iniziò con l’incendio della mia Mercedes e, successivamente, fui minacciato. A rischio, mi dissero, c’era la vita dei miei figli”. A giudizio, ci sono anche Roberto Ansaldi, Salvatore Azzarelli, Benito Rinzivillo, Matteo Romano, Rosario Saccomando, Alfredo Santangelo, Emanuele Terlati, Giorgio Cannizzaro, Giovanni Guaiana, Maura Bartola, Mhmdhi Jamil e Francesco Angioni. Parti civili si sono costituiti l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, con l’avvocato Giuseppe Panebianco, il Comune, rappresentanto dall’avvocato Salvatore Caradonna, la Fai e la Fondazione antiusura padre Pino Puglisi. Nel pool di legali che assiste gli imputati, invece, ci sono gli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Maurizio Scicolone, Nicoletta Cauchi, Raffaella Nastasi, Cristina Alfieri e Vincenzo Lepre.

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