Gela. L’indagine partì dopo la morte di un ex operaio sessantenne dell’indotto Eni. Per il gup niente responsabilità dei referenti Eni. L’uomo venne stroncato, due anni fa, da un carcinoma maligno. Per quei fatti, diciassette indagati sono finiti, lo scorso maggio, davanti al giudice dell’udienza preliminare del tribunale. L’assoluzione decisa nei confronti di tredici tra manager e operatori Eni, adesso, è stata impugnata in Cassazione dai magistrati della procura. Gli unici rinvii a giudizio, invece, sono stati pronunciati nei confronti di quattro ex responsabili di aziende dell’indotto di raffineria, per le quali l’operaio morto prestò servizio nel corso degli anni. Tutto ruota intorno all’esposizione, tra gli impianti dello stabilimento, a pericolose sostanze e, soprattutto, alle fibre d’amianto. Alla fine, il gup, almeno rispetto ai manager e agli operatori Eni ha escluso un collegamento tra i ruoli aziendali e le conseguenze patite dall’operaio. I pm della procura, invece, avevano chiesto il rinvio a giudizio. L’unico nesso, invece, riguarderebbe proprio i quattro ex responsabili delle aziende dell’indotto che avrebbero omesso di adottare tutte le necessarie misure per evitare l’esposizione a sostanze e materiali pericolosi. Per loro, il dibattimento si è aperto negli scorsi giorni. Invece, le tredici assoluzioni sono state impugnate. A chiedere che il caso non si chiudesse con la pronuncia del verdetto di non luogo a procedere, emesso dal gup, sono stati anche i legali di parte civile, gli avvocati Adriano Falsone e Giuseppe Licata, che assistono i familiari dell’operaio morto. Già in udienza preliminare, hanno sostenuto che la responsabilità per quella morte non riguarda solo i referenti delle aziende dell’indotto, a loro volta lavoratori, ma anche quelli di Eni, sottoposti all’obbligo dei controlli in fabbrica. A gennaio, saranno i giudici di Cassazione a pronunciarsi.