Gela. Mistero, mafia, omertà e la grande letteratura siciliana, uniti all’amore per il cinema formano gli ingredienti per un grande capolavoro del cinema nostrano.
“Il giorno della civetta” è una di quelle pellicole che entrano di diritto nella cultura di un paese fino a influenzarla, in una parola, un cult. Almeno una volta nella vita ognuno di noi ha apostrofato qualcuno dandogli del Quaquaraquà. Ho già detto che è un capolavoro? Sì? Beh, lo è, perché scatena nello spettatore un amore incondizionato, tanto da fare fatica a essere oggettivi nel giudicarlo, non è un opera solo da guardare, riesce ad abbattere la separazione dello schermo tra spettacolo e spettatore e diventa un portale, come ad invitare chi lo guarda ad attraversarlo per vivere in questo mondo parallelo che inizia e finisce con la durata del film. La grandezza dell’opera in discussione( sarò ripetitivo su questo punto ma ci sta) si evince non solo dall’ottima messa in scena ma anche dagli importanti spunti di riflessione che offre al pubblico, proverò ad illustrarveli in fondo.
La trama. Le vicende si svolgono in un tipico paesino siciliano( è stato girato a Partinico) e ruotano intorno alle indagini del capitano dei carabinieri Bellodi(Franco Nero) su due misteriosi misfatti avvenuti uno di seguito all’altro. Il primo cadavere è di Salvatore Colasberna, imprenditore “colpevole” di non aver ceduto un appalto ad una ditta appartenente ad “amici di amici”, seguito dalla sparizione di Tano Nicolosi, tragicamente trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma quello che sembra essere un semplice film giallo si rivela come appassionante thriller psicologico.
Il caso in sé non è particolarmente intricato o difficile da risolvere, il vero avversario di Bellodi è quel muro di fumo che ogni personaggio interrogato fa cadere sull’indagine, e per dipanare la matassa volta a mantenere il potere dalla parte sbagliata. Il giovane capitano parmense sarà costretto anche a usare, amaramente, metodi ben poco ortodossi, raggiri, informatori, false confessioni, fino ad intraprendere una accesissima ed inedita partita a scacchi contro don Mariano Arena, “il pezzo da novanta”, colui che trama dietro ogni malaffare, sicuro di essere uno di quegli uomini definibili intoccabili.
Il nostro Bellodi, affronterà tutto questo con estrema decisione ma con una sempre crescente disillusione per quel suo senso di giustizia che da ex-partigiano dava per scontata ma, suo malgrado, sarà costretto a ricredersi. Sarà costretto a ricredersi anche a causa della protagonista Rosa, moglie dello scomparso Nicolosi e splendidamente interpretata da Claudia Cardinale, anch’essa vittima della cultura in cui vive, vittima per la scomparsa del marito e vittima perché sembra non riuscire a liberarsi dalla ragnatela dell’omertà, arrivando quasi a difendere i suoi carnefici.
Lo sviluppo della trama ci porta a un finale struggente, il tutto condito da una fotografia audace nei primissimi piani e nelle prospettive, dove domina il colore giallo tipico del caldo entroterra siciliano. I personaggi secondari suggeriscono come un grande film si distingua per la perfezione dei particolari, segnalo fortemente l’interpretazione di Tano Cimarosa, famoso caratterista spesso utilizzato per la parte del siciliano stereotipato, per il personaggio del Marchica detto Zecchinetta, che ci regala, senza esagerazioni, una performance da oscar, da vedere e rivedere la scena del suo primo interrogatorio, e pensare che c’è chi dice che i caratteristi siano attori “minori”.
Considerazioni. Il regista de “il giorno della civetta” è Damiano Damiani che, a parte la scarsa fantasia nel nome, ha regalato grandi titoli del cinema cosiddetto “di genere”, ma forse non tutti sanno che ha diretto, a fine carriera, “Alex l’ariete”, il film con lo sciatore Alberto Tomba, il film più sbeffeggiato della storia del cinema italiano, talmente brutto che consiglio di vederlo solo per farsi quattro risate. Questo dimostra che non bisogna giudicare un attore o un regista secondo pregiudizi, la buona riuscita di un opera dipende anche da condizioni esterne e nel caso de “il giorno della civetta” tali condizioni erano perfette.
Seconda considerazione. Potremmo prendere spunto da questo film per cercare di rispondere all’atavica domanda: E’ meglio il libro o il film? Come saprete, il soggetto di questa pellicola è preso dall’omonimo romanzo del grande Leonardo Sciascia, con il quale ha esordito nella letteratura, devo dire che ritengo questa domanda superflua, eccetto rari casi fare un paragone del genere sarebbe come giudicare un ritratto di Picasso in base alla somiglianza con l’originale, sono opere diverse, con metodi diversi, e il regista, in questo caso, ha lavorato in assoluta libertà senza però fare un torto al romanzo, tra le differenze si può notare che la storia riguardante Rosa Nicolosi nel romanzo è solo accennata, mentre nel film gioca un ruolo fondamentale, ma è necessario fare degli adattamenti di scrittura, Sciascia di certo non ha scritto il romanzo per farne un film, la trasposizione letterale non avrebbe dato gli stessi ottimi risultati.
Terza considerazione. Già Leonardo Sciascia era stato accusato di aver raffigurato, nel personaggio di don Mariano, la mafia in modo troppo romantico, e il celebre monologo “Io divido l’umanità in cinque categorie: ci sono gli uomini veri, i mezzi uomini, gli ominicchi, poi mi scusi i ruffiani e in ultimo, come se non ci fossero, i quaquaraquà…” fa quasi risultare simpatico il deprecabile antagonista. Io mi dissocerei da questi pensieri, la priorità dell’artista deve sempre essere la ricerca della bellezza, non l’impegno civile, raggiunto questo scopo, il messaggio anti-mafia diventa ancora più efficace, se vogliamo una vittoria sul male, dobbiamo cercare prima di capirlo, e così ha fatto il capitano Bellodi “ma lui è un uomo”.