Gela. “Una perdita che non può essere quantificata, incolmabile”. In questi termini si è espresso l’avvocato Salvo Macrì, legale della moglie dell’operaio Francesco Romano, morto in un gravissimo incidente sul lavoro alla radice pontile della fabbrica Eni. Undici anni fa venne travolto da un tubo da otto tonnellate. Per lui non ci furono possibilità di salvarsi. Questa mattina, in Corte d’appello, il legale di parte civile, costituito anche nell’interesse delle figlie dell’operaio, ha ribadito la linea della procura generale, chiedendo la conferma di tutte le condanne di primo grado, emesse dal tribunale di Gela. L’accusa principale è di omicidio colposo. In base alle contestazioni, l’incidente si sarebbe verificato a seguito di misure di sicurezza non adottate e più in generale in un’area ritenuta non adeguata all’attività che veniva svolta, finalizzata alla sostituzione di una linea. La moglie di Romano, anche nell’interesse delle figlie, ha scelto di rimanere nel giudizio, come parte civile. Altri familiari dell’operaio, invece, sono usciti dal procedimento, accettando un’integrazione dell’accordo transattivo (sono rappresentati dai legali Joseph Donegani ed Emanuele Maganuco). Il legale della moglie ha ribadito l’intenzione di stare nel giudizio fino alla conclusione. Ha fatto leva sulla “sofferenza” che ancora oggi segna una giovane donna che perse per sempre il marito e le figlie che praticamente non hanno mai conosciuto il padre, essendo ancora molto piccole quando si verificò l’incidente. Al termine del giudizio davanti al tribunale di Gela, fu deciso un anno e otto mesi per Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta. Tutte pronunce con pena sospesa. Le uniche assoluzioni furono emesse per le posizioni di Guerino Valenti, Fabrizio Lami e Ignazio Vassallo. La procura generale, nel corso della precedente udienza, ha anche chiesto l’accoglimento dell’appello per le posizioni degli imputati invece assolti in primo grado oltre alla conferma di tutte le condanne.
Le difese, che interverranno durante le prossime udienze, escludono che possa esserci stato un nesso tra l’accaduto e il ruolo degli imputati, che sono manager di Eni, responsabili delle società di controllo e anche di quella dell’indotto per la quale lavorava Romano, la Cosmi Sud. Alle aziende, in relazione alle responsabilità amministrative, in primo grado fu imposto il pagamento di trecento quote (da 500 euro). Decisione che tocca Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec.