Gela. Dovrà presentarsi nuovamente davanti ai giudici della Corte di appello di Caltanissetta.
L’indagine “Agorà”. Non si è ancora chiusa, infatti, la lunga vicenda processuale del cinquantottenne Emanuele Palazzo, attualmente detenuto sotto regime di carcere duro perché considerato il vero vertice della nuova stidda scoperta con il blitz “Agorà”. A giugno, i giudici della Corte di Cassazione hanno annullato con rinvio il verdetto d’appello che lo condannava a dodici anni di detenzione. La difesa, rappresentata dall’avvocato Maurizio Scicolone, sottolineò diverse incongruenze rispetto al verdetto di secondo grado. Dall’erronea applicazione della recidiva fino all’eccessivo ammontare delle pene calcolate per i reati in continuazione. Ricorso che, alla fine, i giudici romani hanno accolto per intero, rideterminando la pena in quattro anni e otto mesi. Adesso, però, spetterà ancora ai giudici della Corte di appello di Caltanissetta valutare il caso e, soprattutto, ricalcolare l’ammontare della condanna. Il presunto boss rimane comunque detenuto sotto regime di carcere duro. Un provvedimento che non è stato revocato. L’annullamento con rinvio ai giudici di appello era stato deciso anche per Massimiliano Tomaselli e Giuseppe Romano, difesi dai legali Flavio Sinatra e Cristina Alfieri. Definitive, invece, le condanne per Luciano Curvà, Alessandro Peritore e Pasquale Sanzo, tutti ritenuti organici alla nuova stidda.