Gela. Doveva rinunciare all’automobile, appena acquistata, come “pegno” pur di ottenere le retribuzioni pattuite dopo aver lavorato in un cantiere edile in Lombardia. La doppia condanna. L’operaio gelese taglieggiato decise di denunciare i fatti. Così, sia in primo che in secondo grado, sono scattate due condanne a tre anni e tre mesi di reclusione. Verdetti pronunciati dai giudici del tribunale di Lodi e da quelli della Corte di appello di Milano nei confronti di Giuseppe Valenti e del collaboratore di giustizia Gianluca Costa. Avrebbero utilizzato una pistola per minacciare l’operaio. I magistrati lombardi, nelle scorse settimane, hanno depositato le motivazioni del verdetto di appello che ha confermato le condanne. Adesso, il caso arriva davanti ai giudici romani della Corte di Cassazione. Uno degli imputati, Giuseppe Valenti, per il tramite del suo legale di fiducia, l’avvocato Davide Limoncello, ha già provveduto a rivolgersi proprio ai giudici di cassazione. L’operaio che denunciò le pressioni subite, sfociate nell’accusa di estorsione, si è costituito parte civile con l’avvocato Angelo Licata che, in giudizio, è riuscito ad ottenere anche il diritto al risarcimento dei danni.