Brescia. Fino ad oggi, nei diversi filoni processuali aperti con la maxi inchiesta “Leonessa”, i giudici non hanno mai riconosciuto l’esistenza di un’organizzazione mafiosa, con ai vertici il gruppo stiddaro gelese capace di radicarsi nell’hinterland lombardo, facendo leva sui profitti delle truffe all’erario. Sono arrivate condanne, ancora non definitive, solo per la catena delle truffe e per altre contestazioni, comunque estranee a quella mafiosa. In settimana, davanti ai giudici del collegio bresciano si sono presentati gli oltre sessanta imputati della terza costola processuale. La procura ha chiesto un rinvio per valutare un’eventuale derubricazione del capo d’accusa che concerne proprio l’ipotesi mafiosa.
In aula, si tornerà a fine giugno. Le difese, in altri procedimenti paralleli, hanno sempre escluso che fosse attiva un’organizzazione mafiosa. I giudici, con le decisioni già emesse, non hanno mai individuato gli estremi per confermare la presenza di un gruppo della criminalità organizzata. Il blitz “Leonessa” venne condotto in parallelo con quello ribattezzato “Stella cadente”, coordinato invece dalla Dda di Caltanissetta, per il quale ci sono state condanne, in attesa della decisione di Cassazione.