Gela. “Il fatto non sussiste”. Il giudice Miriam D’Amore, con una pronuncia di assoluzione, ha chiuso il procedimento di primo grado scaturito da un’indagine che portò ad individuare materiale ferroso e resti di ponteggi, nei fondali a ridosso dell’area pontile di raffineria. La procura aveva invece avanzato richiesta di condanna per tutti gli imputati. La richiesta era di un anno di reclusione per Alfredo Barbaro, Arturo Anania e Calogero Sciascia. Otto mesi, invece, per Bernardo Casa e Settimio Guarrata. Sono tutti manager e responsabili tecnici di Eni. Anche per la società Raffineria di Gela era stata indicata una sanzione da 400 quote. Per i pm, ci fu “inquinamento ambientale”. Nel corso delle sue conclusioni, rese poco prima di lasciare la procura locale, il pm Fernando Asaro aveva spiegato che quello ricostruito era un modus operandi assai diffuso. L’attività di verifica venne condotta dalla capitaneria di porto. Fu accertato, stando a quanto riferito in aula, l’abbandono in mare di circa un milione di chili di materiale ferroso. Le difese, con le conclusioni rese davanti al giudice D’Amore, hanno invece parlato di contestazioni “generiche” che non possono collegarsi all’attività dei cinque imputati. E’ stato ribadito che quanto ritrovato nei fondali non era catalogabile come rifiuto speciale. Sono state citate le conclusioni dei periti di parte. Per i legali degli imputati e di Raffineria (gli avvocati Gualtiero Cataldo, Grazia Volo, Carlo Autru Ryolo e Mario Brusa), ci fu già un ravvedimento operoso, considerato tardivo dalla procura. Venne avviata un’attività di bonifica di quel tratto di mare. Inoltre, i difensori hanno più volte ribadito che l’abbandono di rifiuti e resti di cantieri non è riconducibile ad Eni.
I legali del Ministero dell’ambiente (con l’Avvocatura dello Stato) e del Comune (rappresentato dall’avvocato Ornella Crapanzano), enti costituiti parti civili, hanno invece sostenuto la richiesta di condanna avanzata dalla procura. In aula, oggi, il pm Fabrizio Furnari ha integrato indicando l’entità del risarcimento da destinare proprio al Ministero e al Comune. Il giudice ha però concluso con l’assoluzione sia di tutti gli imputati che della società Raffineria di Gela, sulla quale gravava l’ipotesi di illecito amministrativo.
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