Un video per incastrare carabinieri: Tensione in aula tra pm e testimone

 
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Gela. Un video artefatto per incastrare quattro carabinieri in servizio al reparto territoriale di via Venezia? Sembra questa la linea che emerge dal dibattimento apertosi ai danni del presunto boss Giuseppe Alferi e del sodale Francesco Giovane, figlio della sua stessa compagna: entrambi difesi dall’avvocato Maurizio Scicolone.

I quattro carabinieri finiti al centro dell’intera vicenda, Vincenzo Giuca, Stefano Di Simone, Giovanni Rizzo e Francesco Mangialardo, si sono tutti costituiti parte civile. Alferi e Giovane sono accusati di calunnia. In fase preliminare, sono già stati assolti altri cinque carabinieri dello stesso reparto che, stando all’accusa, sarebbero stati dietro alla falsificazione di un video destinato, in maniera assai grossolana, ad attribuire la colpa dell’incendio di un’automobile, risalente al novembre di quattro anni fa, direttamente ai colleghi oggi parti civili.
L’assoluzione, così, è arrivata per Nicolò Bulone, Claudio Gabrovic, Nunzio Arancio, Rocco Tremoliti e Alberto Greco. Durante l’udienza celebrata ieri pomeriggio non sono mancate le scintille tra il pubblico ministero Elisa Calanducci e uno dei testimoni chiamati a deporre, il maresciallo Giovanni Primo, per diversi anni comandante del reparto radiomobile locale.
“Non ho mai parlato della vicenda del video con nessuno dei colleghi – ha detto il maresciallo – so benissimo, però, che la questione era nota a tutti in caserma. Seppi, attraverso due telefonate destinatemi, che il cd con il video era in possesso di Emanuele Cascino, da molti conosciuto come il figlioccio di Alferi”.
Immediata la reazione del pm Calanducci. “Ma lei – ha chiesto il magistrato rivolgendosi al teste – ne ha parlato con i suoi superiori? Come mai le sono state passate le telefonate? Ha più rivisto Alferi dopo quei fatti?”.
Davanti ad alcune risposte giudicate poco convincenti, è proseguito il confronto in aula. Non a caso, lo stesso Primo ha confermato l’esistenza di rapporti decisamente poco distesi tra i quattro carabinieri costituitisi parte civile e i cinque assolti nelle fasi preliminari del procedimento.
“Forse – ha ribadito il carabiniere sentito davanti al giudice Domenico Stilo – ciò era dovuto al fatto che il gruppo investigativo composto da Bulone e dagli altri era riuscito a raggiungere maggiori risultati rispetto a quello di Giuca”.
Anche in questo caso, non sono mancate le schermaglie. “Ma scusi – ha concluso il pm Calanducci – allora perché utilizzare un video contro un gruppo investigativo che, come ha appena riferito, aveva raggiunto meno risultati dell’altro?”. Nella prossima udienza del 12 dicembre, verranno sentiti tutti i carabinieri già prosciolti che avrebbero fatto parte del gruppo investigativo parallelo a quello dei quattro colleghi costituti parte civile.

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