Gela. I rifiuti industriali, che partivano anche dal sito locale di Eni (azienda che è comunque estranea all’indagine e al giudizio in corso), sarebbero stati classificati come non pericolosi, ma usando criteri ritenuti irregolari. L’inchiesta fu avviata dalla procura di Roma e riguardò un sito in territorio frusinate, dove gli scarti prodotti dal ciclo degli impianti industriali venivano sottoposti ad un primo trattamento. In aula, davanti al giudice Marica Marino, sono stati sentiti uno degli investigatori che si occupò dell’inchiesta e un consulente, allora scelto dalla procura capitolina. Entrambi hanno confermato che le anomalie avrebbero riguardato i rapporti di prova rilasciati da un laboratorio di analisi di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. A processo, c’è uno dei referenti di quella struttura, Gaetano Noto. Gli accertamenti vennero condotti su rapporti per la classificazione del tipo di rifiuti, rilasciati nel periodo tra 2014 e 2015. “Il rifiuto non veniva caratterizzato esaustivamente”, hanno spiegato nel corso del dibattimento i testimoni, rispondendo alle domande del pm Sonia Tramontana. L’intero ciclo di lavorazione nell’impianto laziale, inoltre, non avrebbe “stabilizzato” il rifiuto, che veniva rilasciato come non pericoloso ma che in realtà avrebbe avuto ben altre caratteristiche.
“In questo modo – è stato ancora riferito in aula – questi rifiuti industriali finivano poi in siti di smaltimento per rifiuti non pericolosi, con costi inferiori. Sicuramente, smaltire scarti industriali pericolosi ha invece un costo maggiore”. Nuovi testimoni saranno sentiti nel corso della prossima udienza, fissata a maggio.