Gela. Si è spesso fatto promotore di iniziative per la città, da semplice volontario. Il momento difficile si tocca con mano e non è solo politico o di tenuta dei conti. Per l’operatore sociale Marco Di Dio, la politica deve uscire fuori dallo steccato dei contrasti fini a sé stessi e occuparsi di una città che si barcamena tra continue emergenze. “La città vive un momento particolarmente drammatico. Solitudine, emarginazione, abbandono, degrado, lavori strutturali fermi o incompleti, mancanza di bagni pubblici, carenza di servizi adeguati per gli anziani e le persone diversamente abili. E’ una città spenta. Neppure le luci dei negozi riescono a ristabilire quel margine di serenità che un territorio normale avrebbe il diritto di avere. E non posso che essere indignato e seriamente preoccupato come cittadino. Inoltre, a tutto ciò si aggiunge una politica spesso conflittuale, pronta a inscenare diatribe e malumori e che non sembra osservare o ascoltare il malcontento della gente, già ridotta in uno stato di precarietà e illusione. Le prospettive di lavoro sono troppo scarse – dice – i cittadini si affannano tra bollette e tasse e intanto si pensa a litigare, schierare questioni tra partiti o chiudersi in visioni contrapposte. E’ questo di cui ha bisogno la città? È questa l’immagine che si intende consegnare al popolo? La città ha necessità di trovare uno spazio che offra risposte serie e immediate, con aiuti concreti e visibili. I cittadini soffrono, si sentono sfiduciati e non sempre riescono a coprire tutte le spese. A volte neanche il reddito di cittadinanza, per quanto utile ed efficace, riesce a soddisfare i bisogni di intere famiglie, poiché manca una cultura incentrata sul lavoro e la progettualità sociale. I bisogni sono troppi e le esigenze si moltiplicano”.
Di Dio, che opera proprio nel settore dell’assistenza, non può che sottolineare la precarietà di servizi basilari. “Se poi aggiungiamo a questo scenario desolante la difficoltà di tanti genitori di bambini e ragazzi diversamente abili di avere sostegno didattico e inclusivo, allora si finisce per toccare il fondo. Ci sono tanti Asacom qualificati ma fuori dal circuito lavorativo, perché? Su quali logiche si basano enti, cooperative o associazioni per reperire personale? Chi si preoccupa realmente di queste persone? Dove si inserisce in tale contesto la logica del servizio sociale? Quali sono le metodologie finora adottate? Occorrono risposte a queste e ad altre domande. Troppi dubbi, troppe lacerazioni. Questa città è stanca. Ci vuole unione, coraggio e responsabilità. Nessuno può e deve rimanere indietro. Invito l’amministrazione a riflettere e valutare. Come uomo e come operatore sociale non posso restare indifferente a tanta disperazione. Bisogna agire per il bene di chi è più fragile”, conclude.