Gela. Un dipendente di un istituto di credito locale finì per essere vittima di prestiti ad usura. Dalla sua denuncia partì un’indagine. Una prima condanna definitiva era già stata emessa per Roberto Di Mattia, che materialmente avrebbe messo a disposizione i soldi a strozzo. Ci sarebbero state successivamente minacce per riottenerli, con interessi sempre più pesanti. La Cassazione ha da poco pubblicato, inoltre, le motivazioni della condanna imposta ad un altro coinvolto, Gaetano Di Mattia. A sua volta dipendente di banca, per gli inquirenti avrebbe fatto da tramite fra il collega in difficoltà economica e il fratello, che poi effettuò il prestito ad usura. I giudici di Cassazione hanno confermato la decisione della Corte d’appello di Caltanissetta (analoga a quella del collegio penale del tribunale di Gela). Due anni e otto mesi di reclusione per Gaetano Di Mattia. Il ricorso difensivo non è stato accolto. Secondo le accuse, avrebbe saputo dell’attività del fratello, mettendolo in contatto con il collega in difficoltà. L’imputato era accusato di usura. In tutti i gradi di giudizio, rappresentato dal legale Francesco Enia, ha escluso qualsiasi coinvolgimento. Per la difesa, l’unico suo ruolo si limitò all’attività sindacale svolta.
Nel ricorso, si faceva riferimento al fatto che anche dalle intercettazioni telefoniche non fosse mai stata acquisita una prova certa di un suo coinvolgimento. Per la difesa, già in dibattimento erano emerse contraddizioni nelle dichiarazioni rese da testimoni chiave, una delle quali escluse la presenza di Gaetano Di Mattia quando il fratello minacciò la vittima. Per i giudici romani, però, gli elementi forniti non sono risultati accoglibili. La condanna è stata confermata, diventando definitiva.