Gela. “Non basta morire di tumore. In città il calvario è reso ancora più drammatico dalla carenza di servizi sanitari e previdenziali”. A denunciarlo è il ventunenne Nicholas Di Gesu, lo studente universitario figlio di Salvatore Di Gesu, il coibentatore della “Riva & Mariani” deceduto il 10 giugno scorso per un tumore al cervello. L’ormai ex operaio dell’impresa che opera nell’indotto della Raffineria aveva appena 48 anni, gli ultimi due trascorsi tra le strutture sanitarie di tutta la penisola per cercare di sottrarsi al suo tragico destino. Ad avere la meglio è stato però il glioblastoma che i medici della clinica “Santa Barbara” gli avevano diagnosticato ammettendo subito la gravità della patologia riscontrata. “Il neurologo della clinica sanitaria di Macchitella – sostiene Nicholas Di Gesu – non gli aveva dato scampo. Ha subito detto che sarebbe deceduto due mesi più tardi. Per fortuna si è sbagliato. Mio padre è morto dopo due anni e mezzo. Grazie agli oncologi dell’ospedale “Carlo Besta” di Milano ha almeno potuto lottare contro quel maledetto tumore. Il 6 marzo 2014, quasi immediatamente dopo la diagnosi, è stato sottoposto ad un intervento di neochirurgia. Complessivamente sono state tre le operazioni in sala operatoria, tra estrazione e complicanze”. Il giovane non si limita a segnalare una carenza delle strutture sanitarie del territorio. Punta l’indice anche contro le altre istituzioni che insieme dovrebbero garantire supporto economico e sostegno psicologico. “Per l’Inps mio padre non aveva nemmeno i requisiti indispensabili ad avanzare domanda di indennità di chi ha lavorato a contatto con l’amianto – aggiunge Nicholas -. Eppure almeno tre suoi colleghi sono ammalati di patologie legate all’amianto. A causa del glioblastoma era stato riconosciuto invalido al 100 per cento – aggiunge – ma l’iter per ottenere l’accompagnamento non si è ancora concluso. O meglio, la firma di approvazione è stata apposta a febbraio ma l’erogazione delle somme non è mai avvenuta. Si parla di una integrazione alla pensione di invalidità pari a 470 euro che sicuramente avrebbe rappresentato un valido supporto economico per ammortizzare i continui viaggi della speranza. Mio padre non godrà mai più nemmeno di questo sussidio. Spero almeno che l’Inps sia più celere a riconoscere quelle somme a mia madre, ormai vedova”. Nella città più solidale d’Europa la famiglia Di Gesu non ha ricevuto il supporto nemmeno dagli assistenti sociali del Comune. “Sfiduciati dalle istituzioni – conclude Nicholas Di Gesu – e solo dopo un anno di chemioterapia abbiamo scelto anche di abbandonare le cure tradizionali e convenzionate per passare al metodo alternativo dell’oncologo Di Bella. Una scelta che probabilmente ha consentito a mio padre di vivere un altro anno”.