Gela. Domani, anche in città, sono previste iniziative e incontri, per accendere la luce sul dramma delle violenze contro le donne. Un appello forte è quello che a livello nazionale è stato diffuso dall’Unione donne in Italia (UdI). Da sempre molto vicina alla causa è l’avvocato Giovanna Cassarà, che già durante il suo impegno politico e amministrativo iniziò ad adoperarsi per diffondere un messaggio diverso, che iniziasse a prendere piede a livello locale: contro le violenze e per andare oltre qualsiasi subalternità femminile. La professionista, come già fatto negli anni scorsi, ha voluto rendere pubblico l’appello dell’UdI nazionale. Lo pubblichiamo integralmente.
Siamo circondate dalla violenza, a cominciare dalla guerra, da sempre estrema forma di dominio del patriarcato, fino alle profonde ingiustizie sociali verso le donne presenti nel nostro Paese e nel mondo con la crisi climatica, energetica ed ambientale che non arretra neanche per la sopravvivenza del pianeta.
La violenza maschile alla cui eliminazione è dedicata la giornata mondiale del 25 novembre non subisce arresti. Anche in questi ultimi tempi, abbiamo visto la tragedia delle donne ucraine vittime di stupri di guerra, come sempre succede nelle guerre, e costrette a fuggire dal loro paese, il tentativo di segregazione e annullamento delle donne in Afghanistan (dopo 20 anni di guerra dell’Occidente), il massacro di giovani donne iraniane per il loro rifiuto di conformarsi a modelli politici e sociali teocratici imperanti da 43 anni in quel paese e che oggi ha forme terribili di repressione, la lotta senza fine delle donne palestinesi a cui non vengono riconosciuti diritti fondamentali della loro vita, le violenze alle africane dal Senegal alla Nigeria, a quello che succede nei campi di concentramento in Libia che porta tante donne a subire ulteriormente sfruttamento lavorativo e sessuale.
Proprio per questo è necessaria oggi più che mai attenzione e mobilitazione contro la violenza maschile contro le donne che si esprime in tante forme diverse.
Il 25 Novembre è quindi un momento centrale in cui rilanciare gli obiettivi di fermare e stroncare questa violenza anche nel nostro paese, di riflettere, proporre, individuare azioni mirate a sconfiggere questa fenomenologia strutturale per mantenere un potere asimmetrico tra uomini e donne del mondo come facciamo da decenni.
L’Udi ha in questo una lunga storia: dalla lotta e aiuto alle donne marocchinate per gli stupri di guerra alla messa in discussione del Codice Rocco, dal cambiamento legislativo e culturale sulla violenza in famiglia a tutte le manifestazioni contro lo stupro e gli stereotipi che lo generano e i pregiudizi che lo giustificano collettivamente.
L’Udi ha dedicato pensiero, proposte, azione collettiva e lotte contro la violenza maschile nelle relazioni personali e in famiglia, nei luoghi di lavoro, a quella che emerge nei servizi e nei tribunali che chiamiamo violenza istituzionale creando vittimizzazione secondaria a donne e minori. Il sessismo, gli stereotipi, la svalorizzazione e l’emarginazione delle donne e dei diritti da esse conquistati, duramente conquistati, sono tutte manifestazioni di una violenza strutturale che nasce e rimanda a una differenza di potere tra uomini e donne che è sempre e solo la rappresentazione di una società misogina e neopatriarcale.
Contro la violenza maschile sulle donne Udi chiede: di credere alle donne e di proteggerle quando chiedono aiuto o denunciano; la prevenzione come previsto dalle Convenzioni internazionali e in particolare dalla Convenzione di Istanbul; l’applicazione delle norme conquistate con lunghe lotte delle donne; il contrasto agli uomini violenti e una loro giusta pena superando contraddizioni e ritardi sempre nuovi per giustificarli.
Chiede di dare centralità alla prevenzione non solo con campagne di sensibilizzazione ma cambiando sistematicamente la cultura che alimenta in molte forme la violenza maschile partendo dall’istruzione in ogni ordine e grado, decodificando tutta la storia e le altre materie perché ancora oggi nella scuola e nell’Università viene trasmesso un patrimonio culturale maschile androcentrico, presentato come neutro e universale e la lingua usata privilegia il maschile. Non è tra l’altro difficile trovarvi contenuti che legittimano perfino l’uso della violenza maschile contro le donne. Bisogna bandire dai media e dalla politica ogni forma di delegittimazione ed emarginazione del soggetto donna e promuovere la presenza delle donne nei luoghi decisionali e dove si produce cultura; si fa con messaggi chiari destinati a ragazzi e ragazze di tutte le età fino all’Università. E l’Università deve intervenire diversamente con la formazione verso tutti i soggetti che per ragioni istituzionali intervengono sulla violenza maschile dalla sanità alle forze dell’ordine, dai servizi sociali alla magistratura.
Chiediamo, dunque, strumenti e risorse chiare ed adeguate per la prevenzione che anche nei diversi Piani nazionali è stata l’obiettivo più fragile con risorse deboli.
Problema non sufficientemente affrontato da Governo e Parlamento contrariamente alla convinta adesione all’Intesa Stato-Regioni sui Cuav da parte di tutti.
A chi ritiene che i Centri per uomini maltrattanti o violenti, siano strumenti di “prevenzione”, invece che di tentativi contro la recidiva, che rimane alta, rispondiamo che per essere tali devono essere realizzati diversamente e con responsabilità precise di valutazione delle/degli operatori preposti e con risorse non sottratte ai centri antiviolenza delle donne e agli altri obiettivi necessari per bloccare la violenza maschile.
Come abbiamo detto e documentato nei tavoli regionali e nazionali e negli Osservatori, mettendo in gioco gratuitamente tutte le competenze femminili sulla violenza maschile, provando a cambiare i programmi educativi e scolastici, a rilanciare l’informazione e l’educazione sessuale nelle scuole, riuscendo a ratificare la Direttiva europea contro le molestie sessuali nei posti di lavoro su cui abbiamo anche avanzato proposte precise per una sua applicazione più efficace.
Abbiamo anche contribuito quest’anno, dopo decenni, alla conquista di una legge sulle statistiche di genere contro la violenza alle donne. Un passo avanti dopo aver lavorato, da oltre un decennio, alle liste orribili costruite da noi sulle notizie di stampa sui femminicidi e sulle sopravvissute. I Tavoli per rendere operativa la legge attivati dal Dpo e dall’Istat vanno immediatamente riconvocati per conoscere la situazione integrata in tempo reale sulla violenza così come è necessaria la riconvocazione dell’Osservatorio nazionale per fare finalmente, dopo un anno, il Piano operativo previsto nel 2021 dal Piano strategico del governo e rimasto lettera morta.
È fondamentale che le istituzioni dello Stato “democratico” che dovrebbe rispettare la Costituzione e le Convenzioni sui diritti umani affronti e superi la schizofrenia, evidente da molto tempo, tra le parole di condanna della violenza maschile contro le donne in tutte le sue forme (fino al femminicidio e al figlicidio) soprattutto intorno al 25 novembre e a fatti eclatanti di cronaca contro donne e minori (prodotti spesso usando la teoria della Pas di Gardner teorico della pedofilia e che tante tragedie ha creato e crea) e le politiche reali ed efficaci per ottenere risultati positivi e permanenti.
Oggi diciamo basta e dalle Istituzioni ci aspettiamo la capacità/volontà reale di fermare questo potere maschile così troppo tollerato ed evidentemente conveniente per mantenere le donne in uno stato di subalternità e di secondarietà che si esprime ed è utile in molti campi dal lavoro al welfare come sempre è successo ma necessario soprattutto nella fase di crisi sistemica attuale.