Gela. Giovani sfruttati, contratti fittizi, turni massacranti pagati per la maggior parte in nero. Non ti puoi ammalare né puoi andare in ferie. E se ti lamenti o reclami qualche diritto vai a casa. A questo sono sottoposti i lavoratori di uno dei tanti ristoranti gelesi.
A raccontarcelo è proprio una di questi giovani che ha scelto di lavorare nella propria città. Maria ha 21 anni, fa la cameriera e ha rinunciato al Reddito di Cittadinanza. Ha scelto così di lavorare in un noto ristorante di cucina orientale, ma le condizioni di lavoro che le sono state offerte sono terribili. Turni massacranti, pagamento in nero, niente ferie e niente garanzie. Oggi Maria ha deciso di denunciare tutto.
Al momento dell’assunzione il titolare è stato chiarissimo, contratto di due ore giornaliere ma disponibilità per mezza giornata durante la settimana e l’intero weekend. Pagamento in parte in nero e naturalmente nessun diritto riconosciuto.
“Il mio contratto c’è, ma non è assolutamente applicato – ci racconta – rispetto alle due ore registrate io ne lavoro abitualmente sei, e nel fine settimana arrivo a dodici. Per fare questo mi pagano fino ad un massimo di 600 euro, la maggior parte naturalmente in nero. E se decidi di non presentarti al lavoro perché stai male, quelle ore ti vengono decurtate dal pagamento”.
Maria denuncia anche le condizioni dei suoi compagni di lavoro, spesso addirittura peggiori delle sue: “Ci sono miei colleghi – dice – con maggiore esperienza lavorativa che coprono i turni dell’intera giornata per paghe misere. In alcuni casi, se si assentano nei giorni di punta, tipo il fine settimana, la paga che viene decurtata è il doppio”.
Inutile ovviamente reclamare qualsiasi tipo di diritto o di garanzia: “Ci conviene star zitti – racconta Maria – perché tanto la risposta è sempre uguale: “Se non ti sta bene, puoi anche andartene”, tanto c’è la fila di persone pronte a prendere il tuo posto”.
Maria fino a qualche tempo fa percepiva il Reddito di Cittadinanza, ma ci ha rinunciato perché voleva lavorare. Oggi non è pentita di quella scelta ma l’amarezza è tanta.
“Ho deciso di rinunciarci, perché volevo rendermi utile con il mio lavoro – dice – portare dei soldi a casa grazie al sudore della tua fronte è moto più gratificante, ma quando vedo come veniamo trattati la rabbia cresce”
“Non è giusto che nel 2022 i giovani che vogliono lavorare vengano trattati da schiavi – conclude – le leggi a tutela dei lavoratori ci sono ma andrebbero applicate con più rigore. Il problema non è il Reddito di Cittadinanza ma il fatto che lo Stato possa permettere a dei datori di lavoro di trattare il personale come merce e non come esseri umani”.