Gela. Le fiamme si svilupparono poco prima delle cinque del mattino, in una delle strade prossime a via Venezia. Tre auto furono danneggiate da un rogo. L’incendio partì dalla vettura di un agente di polizia, lasciata in sosta. Era quella l’obiettivo di chi agì. In aula, l’ha spiegato uno degli investigatori che seguì l’indagine. Ha risposto alle domande del pm e dei legali che difendono i due imputati. Le accuse sono mosse a Giuseppe Antonuccio e Andrea Ventura (rappresentati dagli avvocati Davide Limoncello e Tommaso Vespo). L’inchiesta si sviluppò dall’esame delle riprese dei sistemi di videosorveglianza della zona e dall’analisi dei tabulati telefonici. Per i difensori, come hanno ribadito in aula, non ci sono elementi per collegare l’accaduto ai due imputati. I carabinieri che seguirono l’indagine posero la loro attenzione su due utilitarie Fiat, che nei minuti precedenti all’incendio transitarono da quel tratto di strada. Da una di quelle auto sarebbero scesi gli autori del rogo, che però non sono stati individuati dalle immagini. Nel corso dell’esame testimoniale, l’ufficiale dei carabinieri sentito ha ripercorso i passaggi principali delle attività di approfondimento condotte. Furono monitorati diversi contatti telefonici, in quelle ore, tra una familiare di Antonuccio e Ventura.
Inoltre, una delle auto individuate dai militari dell’arma risultò di proprietà di un altro familiare di Antonuccio. Elementi che per le difese non possono essere sufficienti a delineare l’eventuale coinvolgimento dei due accusati, che hanno sempre escluso responsabilità. Da quanto riferito in aula dagli investigatori, l’azione di fuoco che colpì la vettura del poliziotto sarebbe stata conseguenza di precedenti vicissitudini. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale saranno sentiti altri testimoni.