Gela. “Ci fu un’errata valutazione dei rischi in quel cantiere”. Il ferimento dell’operaio. Uno dei tecnici intervenuti nell’isola 12 della raffineria Eni di contrada Piana del Signore è stato sentito in aula, davanti al giudice Tiziana Landoni. Il testimone ha risposto alle domande nell’ambito del dibattimento che si sta celebrando ai danni di sei imputati. Si tratta di responsabili e tecnici sia della società Smim che della stessa raffineria. Sono finiti a processo dopo l’incidente subito da un dipendente proprio della Smim. Le accuse vengono rivolte a Giancarlo Barbieri, Giorgio Satorini, Massimo Bonelli, Filippo Pepe e Massimo Casisi, oltre appunto alla Smim. L’operaio, costituito parte civile con l’avvocato Paolo Testa, venne colpito da diversi tubolari di un ponteggio mentre era impegnato, insieme ad altri colleghi, nei lavori di sostituzione di una linea dell’impianto di alchilazione. Riportò la frattura della mandibola e diverse ferite legate proprio a quanto accaduto. Il tecnico sentito in aula ha confermato che in quel cantiere erano attive due aziende, la stessa Smim e la Corima, i cui operai erano invece intervenuti nell’allestimento del ponteggio. “Da quanto accertato – ha proseguito il teste rispondendo anche alle domande del pm Tiziana Di Pietro – è emerso che il cantiere non venne qualificato come edile, facendo venire meno una serie di precauzioni e obblighi”. I difensori degli imputati, gli avvocati Flavio Sinatra e Gualtiero Cataldo, hanno cercato di ricostruire quanto accaduto durante le fasi dell’intervento che causò il ferimento dell’operaio, trasferito successivamente in un centro ospedaliero specializzato. Si mira soprattutto a capire che tipo di collegamento possa esserci tra le posizioni ricoperte dagli imputati e le eventuali responsabilità legate all’infortunio subito dal lavoratore.