Gela. Quattro mesi di reclusione per l’incendio della vettura intestata ad un’azienda locale la “Lavema”. La condanna è stata pronunciata dal giudice Antonio Fiorenza nei confronti di Giuseppe Di Noto. Al termine della requisitoria, il pm Pamela Cellura ha confermato le accuse nei suoi confronti, chiedendo la condanna a sei mesi di reclusione. I fatti risalgono a sei anni fa e le fiamme avvolsero la vettura, di proprietà dell’azienda. Dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza, secondo l’accusa, fu possibile accertare l’identità di Di Noto, “anche per l’andatura claudicante”. Avrebbe agito con il volto coperto da un sacchetto di plastica. La difesa, sostenuta dal legale Francesco Enia, nelle conclusioni ha del tutto escluso la fondatezza della ricostruzione d’accusa. “Non ci sono elementi che possano confermare l’identità di chi agì – ha spiegato – non c’è corrispondenza neanche con la felpa indossata quella notte. Si arriva all’imputato solo perché familiare di pregiudicati. Ma non può essere una colpa”. Secondo gli inquirenti, il rogo sarebbe da ricondurre ad una ritorsione ai danni degli imprenditori, padre e figlio.
Pare che il fratello dell’imputato avesse lavorato, ma solo per pochi giorni, come guardiano nel lido avviato dagli stessi imprenditori. La fine del rapporto lavorativo non sarebbe stata gradita, tanto da portare alla ritorsione. “Gli imprenditori – ha aggiunto la difesa – non hanno mai fatto alcun riferimento a Di Noto. Quelle investigative sono solo congetture”. Il giudice ha emesso la condanna, che probabilmente sarà impugnata in appello.