“Leonessa”, non c’era la stidda nella rete delle compensazioni: depositate motivazioni

 
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Gela. A giugno, anche i giudici della Corte d’appello di Brescia hanno escluso l’esistenza di un’organizzazione mafiosa, riferibile alla stidda gelese, attiva nell’hinterland lombardo. Sono state confermate le condanne per sei imputati, coinvolti nell’inchiesta “Leonessa”, ma rispetto a contestazioni differenti da quella mafiosa. Sono state depositate le motivazioni, attraverso le quali i magistrati bresciani ribadiscono che non ci fu l’ombra dei clan gelesi dietro alla vasta rete di truffe tributarie e raggiri all’erario, attuati principalmente con il sistema delle compensazioni indebite. Le condanne, in questo filone, sono state emesse nei confronti di Roberto Raniolo, Francesco Scopece, Salvatore Sambito, Luca Verza, Giuseppe Tallarita e Giuseppe Nastasi. Le decisioni confermate vanno fino ai cinque anni e otto mesi di detenzione disposti per Raniolo. Era già stato assolto per due contestazioni di estorsione e non è stato ritenuto capo del gruppo. Con la decisione emessa in appello, nei suoi confronti è stata revocata la detenzione in carcere. Su richiesta del difensore, l’avvocato Stefano Tegon, a giugno gli sono stati concessi i domiciliari. I magistrati d’appello non hanno invece accolto il ricorso della procura, che ribadiva l’esistenza dell’organizzazione mafiosa. I sei imputati, attraverso i legali di difesa, avevano optato per il giudizio abbreviato. Con le motivazioni depositate scatta il termine per la presentazione degli eventuali ricorsi in Cassazione.

Ad inizio maggio, il collegio penale del tribunale di Brescia ha disposto la condanna di undici imputati, tutti coinvolti nella stessa inchiesta. La pena più pesante, a sedici anni e un mese di reclusione, è stata pronunciata per Rosario Marchese, ritenuto vero ideatore del sistema milionario delle compensazioni tributarie illecite, che ha determinato la condanna anche per i sei in appello. I giudici del collegio, a loro volta, non hanno riconosciuto l’esistenza dell’organizzazione mafiosa, che secondo i pm della Dda avrebbe invece sfruttato i fondi illeciti per sviluppare attività in Lombardia e non solo. Di recente, sono state depositate le motivazioni di primo grado anche per questa costola processuale.

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