Gela. Quattordici condanne e un’assoluzione. E’ arrivato il verdetto d’appello scaturito dal blitz antimafia “Inferis”. Cadono alcuni episodi estorsivi. Un’inchiesta che permise ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta di far luce, con il sostegno degli agenti della mobile nissena e di quelli del commissariato di via Zucchetto, sui presunti affari di un gruppo che sarebbe stato capeggiato da Peppe Alferi, attualmente detenuto sotto regime di 41 bis. I giudici della Corte d’appello, così come già il gup in primo grado, hanno confermato l’esistenza di una vera e propria organizzazione mafiosa, autonoma sia da cosa nostra sia dalla stidda. Allo stesso tempo, però, molte condanne sono state riviste al ribasso, a seguito della venuta meno di alcuni capi d’imputazione, soprattutto sul fronte delle estorsioni. Undici anni di reclusione sono stati comminati al presunto capo Peppe Alferi. In primo grado, la pena era stata ancor più pesante, ovvero diciotto anni e sei mesi. Il suo legale di fiducia, l’avvocato Maurizio Scicolone, anche durante il giudizio di secondo grado, ha comunque fatto leva sia sui criteri adottati per calcolare la pena inflittagli sia sul fatto che il suo assistito non avrebbe mai capeggiato un’organizzazione mafiosa. L’unico assolto, invece, è Giuseppe Caci. In questo modo, sono state accolte le richieste arrivate dal suo legale di fiducia, l’avvocato Giovanna Zappulla. Condanna ridotta anche per Carmelo Sebastiano Alferi, fratello di Peppe: alla fine, i giudici nisseni gli hanno comminato quattro anni di reclusione. Condanna per Nunzio Alferi. Sei anni e sei mesi, ciascuno, per Giuseppe Biundo e Rosario Moscato, a loro volta condannati a sette anni di reclusione in primo grado. Condanna ridotta per Maria Azzarelli, i giudici d’appello hanno deciso per una pena di sei anni e mezzo a fronte dei sette anni e quattro mesi di primo grado. Una sorte analoga a quella di Vincenzo Azzarelli che, difeso dall’avvocato Cristina Alfieri, ha ottenuto una condanna più lieve rispetto a quella decisa dal giudice dell’udienza preliminare in primo grado. Tre anni e sei mesi per Orazio Pirone che in primo grado aveva ricevuto un verdetto di condanna a cinque anni e otto mesi. Il suo legale di fiducia, l’avvocato Giovanni Lomonaco, ha contestato soprattutto l’accusa di estorsione che, alla fine, è venuta meno. Confermata la condanna a sei anni di reclusione per Vincenzo Burgio nonostante gli elementi descritti in aula dall’avvocato Nicoletta Cauchi che ha sempre ridimensionato il ruolo del suo assistito. Conferma, seppur con una condanna assai limitata, per Gaetano Davide Alfieri. Quattro anni e quattro mesi, invece, sono stati decisi nei confronti di Fabio Russello che, in primo grado, aveva subito un verdetto più pesante di sei anni e mezzo. Sei anni per Paolo Vitellaro. I giudici d’appello hanno escluso il suo coinvolgimento in un incendio che sarebbe stato appiccato come atto dimostrativo. Sei anni e quattro mesi a Luigi Nardo, difeso dall’avvocato Riccardo Lana, che in primo grado si era visto infliggere un verdetto di sei anni e nove mesi. Quattro anni, infine, per Giuseppe Palmieri, difeso dall’avvocato Vincenzo Vitello. La gran parte delle condanne sono state pronunciate in continuazione con precedenti verdetti.
Parti civili gli imprenditori e il collaboratore Cascino. Parti civili si sono costituiti gli imprenditori che sarebbero finiti al centro delle richieste estorsive e del sistema organizzato dal gruppo Alferi, soprattutto quelli impegnati nei cantieri per la costruzione di complessi abitativi lungo l’area di via Butera. Sono stati rappresentati in giudizio dagli avvocati Joseph Donegani, Vittorio Giardino e Giuseppe Zampogna. Parte civile, con l’avvocato Vania Giamporcaro, si è costituito Emanuele Cascino, ex fedelissimo di Giuseppe Alferi e ora collaboratore di giustizia.