Gela. Una pistola calibro 7,65, una ventina di proiettili e il sospetto che abbiano fatto sparire anche altre armi, “almeno due fucili”. Per i fratelli Giovanni Licata e Davide Licata, questa mattina, il pm Ubaldo Leo ha chiesto la condanna a cinque anni di reclusione, ciascuno. La pistola e le munizioni furono sequestrate nella loro abitazione. Un altro fratello, Ruben Licata, si autoaccusò e per questi fatti è stato condannato. Per la procura, però, anche i due imputati ne avrebbero avuto la disponibilità. Furono intercettati durante un colloquio in carcere, quando Ruben Licata fu arrestato. Secondo il pm, si sarebbero messi d’accordo per nascondere altre armi, che però non sono mai state trovate. Gli viene contestata la ricettazione, oltre al possesso non autorizzato delle armi. In base a quanto spiegato dal pubblico ministero nel corso della requisitoria, tutta la famiglia avrebbe saputo della presenza delle armi nell’abitazione. La difesa dei due imputati, sostenuta dall’avvocato Filippo Spina, ha invece fornito una versione del tutto differente. Il legale ha spiegato che non ci sarebbero mai stati riscontri di un coinvolgimento dei due fratelli. Entrambi si sono sempre detti estranei ai fatti. Il terzo fratello, anche in aula, ha ammesso che la responsabilità per la presenza delle armi era esclusivamente sua.
“I miei fratelli hanno sempre lavorato e non sapevano niente”, aveva dichiarato davanti al collegio penale. Anche sulle possibili altre armi, per il legale non ci sono riscontri. Il pm ha parlato, almeno per i due fucili, di “arme parlate”, visto che non c’è mai stato un ritrovamento. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Francesca Pulvirenti (a latere Eva Nicastro e Martina Scuderoni), emetterà la decisione nel corso della prossima udienza.