Gela. Fu Palazzo di Città, ormai dieci anni fa, ad andare incontro a ritardi nelle procedure di assunzione di una dipendente, che ottenne collocazione negli uffici dell’ente, perché riconosciuta “vittima sopravvissuta della mafia”. Spetta proprio al municipio provvedere al pagamento dovuto alla dipendente, per il ritardo nell’assunzione, che avvenne dopo circa un anno dalle verifiche concluse dall’ufficio regionale per la solidarietà, dell’assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro. Anche i giudici della Corte di Cassazione hanno confermato che a ritardare la procedura di assunzione fu il municipio e non l’assessorato. E’ stato ribadito quanto già deciso dalla Corte d’appello di Caltanissetta, che accolse l’azione dell’assessorato, ribaltando la pronuncia di primo grado che invece aveva dato ragione al municipio. La stessa dipendente segnalò che ci furono lungaggini, nonostante il suo pieno diritto all’assunzione, così come indicato dalla normativa regionale a tutela delle vittime di mafia e dei loro familiari, che se disoccupati devono trovare collocazione in enti pubblici. I giudici di Cassazione, nelle motivazioni, spiegano che gli oneri di controllo imposti all’ufficio regionale erano stati adempiuti, rispetto alla verifica dei requisiti della dipendente che poi fu assunta a Palazzo di Città.
Il Comune ha dato mandato di agire in Cassazione, ma il ricorso non è stato accolto. “Non ha, evidentemente, il legislatore regionale inteso delegare all’Ufficio appositamente istituito tutta l’istruttoria relativa alle assunzioni delle vittime di mafia presso tutti i Comuni, le Aziende sanitarie della Regione Sicilia ovvero presso gli enti subregionali, ma solo quei compiti che presuppongono relazioni con autorità esterne, restando affidate ai suddetti Enti le competenze proprie e tipiche in materia di assunzioni”, si legge nelle motivazioni pubblicate.