Gela. Uno degli ex vertici di Cosa nostra nissena, Leonardo Messina (poi diventato collaboratore di giustizia), li accuserebbe ingiustamente. Ieri, davanti ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, il boss Giuseppe “Piddu” Madonia e Cataldo Terminio hanno voluto rilasciare dichiarazioni spontanee. Entrambi sono imputati per l’omicidio di Giuseppe Failla, ucciso trentaquattro anni fa nel suo bar, in via Cadorna. Sia Madonia che Terminio hanno escluso un coinvolgimento, sostenendo che Messina li avrebbe chiamati in causa, solo per vecchi dissapori. Una sorta di ritorsione ai loro danni, questa la versione. Per i pm della Dda di Caltanissetta e per i carabinieri del Ros che ricostruirono quell’agguato, invece, Terminio, Angelo Palermo e Angelo Bruno Greco avrebbero fatto parte del commando che fece fuoco contro Failla, lasciandolo senza vita, all’interno dell’attività commerciale, in pieno centro storico. I familiari della vittima sono parti civili, con il legale Giovanni Bruscia. A processo, ne rispondono proprio Madonia, che avrebbe autorizzato l’omicidio, Terminio, Greco e Palermo. Secondo gli inquirenti, che hanno fatto riferimento alle dichiarazioni rilasciate in merito da collaboratori come Messina, l’agguato sarebbe stato una sorta di vendetta. Una presunta risposta all’uccisione del padre di Terminio, voluta dalla famiglia Cerruto di San Cataldo. Pare che Failla venisse visto come un amico dei Cerruto. Ci sarebbe stata l’autorizzazione dei vertici di Cosa nostra provinciale.
Gli stessi collaboratori non hanno però mai fatto riferimento a legami tra la vittima e i clan. Nel corso dell’istruttoria, oltre a Leonardo Messina, sono stati sentiti collaboratori di giustizia della prima ora, come Ciro Vara e Salvatore Ferraro. In aula, si tornerà a giugno per altri testimoni. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Sergio Iacona, Michele Micalizzi, Cristina Alfieri ed Eliana Zecca.