Gela. Non ci furono minacce al commerciante che denunciò le richieste estorsive di Cosa nostra. Le sue dichiarazioni fecero partire l’inchiesta “Fenice”, che consentì di ricostruire l’asse mafioso strutturato dai clan niscemesi e da quelli gelesi. Il collegio penale del tribunale di Gela ha assolto Sergio Musto, fratello di Alberto Musto, condannato per l’inchiesta “Fenice” e considerato uno dei più fidati referenti del boss niscemese Giancarlo Giugno. Sergio Musto, che invece non fu toccato dall’indagine, è finito a processo, accusato di aver minacciato Elvis Lionti, titolare insieme al fratello di diverse attività commerciali. In base a quanto ricostruito, all’interno di un bar di Niscemi, Musto avrebbe minacciato Lionti, apostrofandolo come “sbirro” e pare facendo il segno della pistola. Per l’antimafia nissena si trattò di un’intimidazione ai danni del commerciante che con le sue denunce fece partire l’indagine che portò all’arresto di Alberto Musto, fratello di Sergio. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, però, non sono emerse certezze che potessero confermare le contestazioni. Anche le immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza del bar non hanno consentito di individuare gesti riconducibili a quanto indicato nella denuncia. Non ci sarebbe stato un dialogo diretto tra l’imputato e il commerciante, che invece in aula ha confermato di essere stato minacciato. Il collegio penale ha disposto l’assoluzione di Musto, con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Anche il pm della Dda di Caltanissetta, Davide Spina, ha concluso con una richiesta di assoluzione. La difesa di Musto, sostenuta dall’avvocato Francesco Spataro, ha sottolineato proprio l’assenza di qualsiasi riscontro rispetto alle accuse. L’imputato, sentito in aula, ha dichiarato di non essersi mai rivolto all’esercente. Nel bar di corso Gramsci, ha ribadito, non ci fu nessuna minaccia. Il collegio ha disposto l’assoluzione.