Gela. E’ durata circa sei ore la camera di consiglio, che in serata ha portato i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta a pronunciarsi su due filoni processuali, scaturiti entrambi dalla maxi inchiesta antimafia “Extra fines”. Per quanto riguarda il procedimento ordinario (dell’altro riferiremo a breve), i giudici di secondo grado hanno di fatto confermato le pronunce del collegio penale del tribunale di Gela. C’è però la condanna dell’imprenditore Emanuele Catania. In primo grado, era stato assolto. Per la sua posizione, la procura ha impugnato e i giudici nisseni hanno disposto la condanna a sei anni e otto mesi di reclusione, ma senza una delle aggravanti mafiose. Gli sono state riconosciute le attenuanti generiche. Secondo gli investigatori, l’imprenditore, attivo nel settore del commercio ittico all’ingrosso, avrebbe avuto rapporti con il boss sessantenne Salvatore Rinzivillo. Ricostruzione che la difesa, sostenuta dall’avvocato Giacomo Ventura, ha escluso, già in primo grado, quando fu pronunciata l’assoluzione. Lo stesso imprenditore ha parlato di una totale assenza di rapporti, anche commerciali, con Rinzivillo e si è difeso nel corso del giudizio di secondo grado. I giudici di appello hanno disposto la condanna. La procura generale, nei suoi confronti, aveva chiesto dieci anni di detenzione. Assolto, invece, Giuseppe Licata, titolare di ditte di automezzi. Anche per la sua posizione c’era stata l’impugnazione della procura, a seguito di un’assoluzione di primo grado. La difesa, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, ha ribadito l’assenza di elementi che potessero collegarlo al gruppo Rinzivillo. Anche in appello è arrivata l’assoluzione. Sono state confermate, invece, le condanne a Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti), Umberto Bongiorno (sei anni e otto mesi), Rosario Cattuto (dodici anni di detenzione mentre la difesa sostenuta dall’avvocato Riccardo Balsamo ha presentato anche in appello una serie di conclusioni che hanno messo in dubbio il legame tra l’imputato e il gruppo Rinzivillo), Francesco Majale (sei anni e otto mesi), Vincenzo Mulè (sei anni e otto mesi), Luigi Rinzivillo (sette anni), Giuseppe Rosciglione (sei anni) e Alfredo Santangelo (dieci anni e otto mesi). Per la posizione di Antonio Maranto (difeso dall’avvocato Roberto Salerno), i giudici di appello hanno riconosciuto le attenuanti generiche riducendo la condanna a sei anni e otto mesi di detenzione (in primo grado la pena era di otto anni).
Ci sono state variazioni anche per gli esercenti Angelo Giannone (otto anni e un mese) e Carmelo Giannone (dodici anni e quattro mesi), con il riconoscimento della continuazione. Per Antonio Rinzivillo, fratello del sessantenne Salvatore Rinzivillo, i giudici di appello hanno riconosciuto la continuazione, con condanna a trenta anni di detenzione. Secondo gli inquirenti, gli ergastolani Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo avrebbero autorizzato la nuova reggenza della famiglia di mafia, in favore del fratello Salvatore Rinzivillo, imputato nell’altro filone processuale.