Gela. E’ stato sentito nel corso del giudizio di secondo grado, che si sta celebrando a carico di Francesco D’Amico e Rosario Consiglio, coinvolti nell’inchiesta antimafia “Inferis”. Il collaboratore di giustizia Emanuele Cascino, prima di dire basta alla sua esperienza criminale fu il braccio destro del boss Giuseppe Alferi (detenuto al 41 bis). In primo grado, per i due imputati arrivò la pronuncia dei giudici del collegio penale del tribunale di Gela, a cinque anni e sei mesi di reclusione, ciascuno. In base alle contestazioni, avrebbero fatto parte del clan Alfieri, con stretti legami proprio con il boss. Già davanti ai giudici del tribunale gelese, le difese esclusero un legame tra gli imputati e il capo di quella che viene considerata dagli inquirenti come la “terza mafia”. Cascino ha confermato i legami tra gli imputati e Alferi. Si sarebbero messi a disposizione, anche per estorsioni e danneggiamenti. Pare che non abbia però fornito indicazioni precise su fatti direttamente riconducibili a D’Amico e Consiglio.
Il collaboratore ha spiegato che tra lo stesso D’Amico e Alferi c’era un rapporto di parentela; il boss e Consiglio, invece, sarebbero stati “compari”. Le difese, sostenute dai legali Nicoletta Cauchi e Salvo Macrì, ritengono che le dichiarazioni rese da Cascino non abbiano dato contezza pratica di eventuali azioni illecite, commesse dai due. In primo grado, tre anni fa, altri imputati, ritenuti comunque vicini al boss, furono assolti. Le condanne sono state pronunciate per D’Amico e Consiglio, che alla Corte d’appello chiedono di rivedere quelle decisioni. I giudici nisseni dovrebbero decidere ad aprile.