Torino. In Corte d’assise d’appello, a Torino, si è aperto il giudizio di secondo grado, nei confronti dell’imprenditore edile cinquantaquattrenne Giuseppe Cauchi. In primo grado, la Corte d’assise di Novara, l’ha assolto. E’ accusato di essere il mandante dell’omicidio del trentatreenne Matteo Mendola. Il cadavere venne ritrovato in un vecchio capannone, nei boschi di Pombia, in provincia di Novara. Sia Cauchi che Mendola vivevano in provincia di Varese, dove è molto folta la comunità gelese. In base alle accuse, ci sarebbe stata la richiesta di Cauchi, che avrebbe deciso di uccidere il trentatreenne, forse anche per vicende legate ad altri fatti illeciti. Non fu esclusa la pista dei debiti. Cauchi, già in primo grado, difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo, ha respinto ogni addebito. Per la difesa, non avrebbe avuto alcun motivo per far uccidere il trentatreenne. I giudici torinesi hanno accolto la richiesta di riapertura dell’istruttoria, avanzata dalla procura generale, con l’esame di testi, compreso uno dei killer, Antonio Lembo, condannato in via definitiva a trent’anni di detenzione. Fu proprio Lembo a tirare in ballo Cauchi, come presunto mandante.
Ritrattò, però, durante un confronto, in aula, nel dibattimento di primo grado. La procura ha impugnato l’assoluzione e in appello, oggi, si è aperto il giudizio, dopo lo slittamento delle scorse settimane. La famiglia della vittima è parte civile. Oltre a quella di Lembo, è diventata definitiva la condanna, sempre a trent’anni di detenzione, anche per l’altro killer, Angelo Mancino. Mendola sarebbe stato raggiunto da colpi di pistola. Venne finito con una vecchia batteria da auto, che gli fracassò il cranio.