Gela. Nuove richieste di condanna sono state avanzate dai pm della Dda di Caltanissetta, che stanno sostenendo l’accusa nel giudizio scaturito dall’inchiesta “Donne d’onore”, concentrata su un presunto giro di droga ed estorsioni, che sarebbe stato controllato da Nicola Liardo, per conto dell’organizzaizone mafiosa e nonostante la detenzione. Nelle scorse settimane, nei suoi confronti è stata chiesta la condanna a ventuno anni di reclusione. Questa mattina, i pm Claudia Pasciuti e Davide Spina hanno chiesto dodici anni di reclusione per la moglie di Liardo e dieci per la figlia, a loro volta a processo per i fatti dell’inchiesta. Secondo i pm dell’antimafia, avrebbero saputo delle attività illecite, poi al centro dell’inchiesta. Sedici anni e tre mesi sono stati avanzati rispetto alla posizione del figlio, Giuseppe Liardo, che si sarebbe mosso per la droga e per l’intimidazione ai titolari dell’ex bar “Rouse”, in corso Aldisio, che fu danneggiato a colpi di arma da fuoco. E’ stata invece chiesta l’assoluzione per l’intimidazione ad un imprenditore, la cui abitazione fu raggiunta da colpi di pistola. Diciassette anni di reclusione sono stati chiesti per un altro imputato, Salvatore Raniolo, che a sua volta si sarebbe attivato per mantenere i contatti con i presunti fornitori della droga, a Catania. Tre anni e tre mesi di detenzione è la richiesta formulata per Carmelo Martines. E’ anche lui accusato dell’intimidazione agli ex titolari del bar di corso Aldisio. Così come per Giuseppe Liardo, è stata chiesta l’assoluzione per gli spari contro l’abitazione della famiglia dell’imprenditore. Non sono emersi elementi certi per attribuirgli responsabilità. Otto anni è la richiesta mossa per Giuseppe Maganuco. L’assoluzione, invece, è stata chiesta per Calogero Greco. Questa mattina, l’avvocato Davide Limoncello ha iniziato ad esporre le proprie conclusioni, nell’interesse di Monia Greco e Dorotea Liardo. Il legale ha parlato per diverse ore, mettendo in discussione l’intero impianto accusatorio, ad iniziare dal contenuto delle intercettazioni dei colloqui, in carcere, che furono alla base dell’avvio dell’indagine. Per la difesa, quelle conversazioni non avrebbero mai fatto riferimento ad affari illeciti, coordinati da Liardo, ma solo a questioni familiari e alla necessità di evitare che il figlio, Giuseppe potesse commettere nuovi errori, con il rischio di lunghi periodi di detenzione, nonostante la giovane età. Anche i contatti con i presunti fornitori catanesi, per il legale non ci sarebbero mai stati. “Non possiamo interpretare quello che non c’è”, ha detto.
Accuse che sono state respinte anche dalla difesa di Giuseppe Maganuco. L’avvocato Maurizio Scicolone ha spiegato che il giovane non ebbe alcun ruolo nel presunto affare della droga. In base a quanto sostenuto, sarebbe finito all’attenzione degli investigatori solo perché, in un unico caso, andò a Catania, insieme ad altri coinvolti, ma senza sapere nulla di possibili traffici illeciti. Nelle prossime udienze, toccherà agli altri legali di difesa esporre le rispettive conclusioni. Gli imputati sono rappresentati dagli avvocati Flavio Sinatra, Davide Limoncello, Carmelo Tuccio e Maurizio Scicolone.