Gela. Risorse pubbliche per rafforzare la sanità e gli enti di prossimità. L’appello arriva dai sindacalisti della Cgil, reduci dallo sciopero generale di giovedì. Il segretario confederale Rosanna Moncada e quello provinciale della Fp-Cgil Angelo Polizzi, si riferiscono ai tanti precari, collocati nelle strutture del territorio, nel pieno dell’emergenza Covid. Senza il rinnovo dei contratti e l’avvio di strutture, come il centro diurno per l’autismo, in città, non sarà possibile strutturare un sistema che fornisca veri servizi pubblici ai cittadini. “Sappiamo che il fondo sanitario si implementerà di 2 miliardi ma le Regioni quest’anno hanno speso 5 miliardi e mezzo di spese Covid, e con solo 2 miliardi in più si dovrebbe fare tutto, rinnovare i contratti, assumere i precari, continuare a gestire la rete Covid di protezione delle persone e garantire i livelli di assistenza. E’ chiaro che quei due miliardi non bastano e noi come organizzazione sindacale chiediamo di fare una scelta politica di finanza pubblica e togliere le spese Covid dai bilanci, nettizzare le spese Covid e consentire alle Regioni di fare un piano di ammortamento e considerarle come spese straordinarie che non entrano nella contabilità e nel bilancio dell’anno in corso. Altrimenti ci ritroveremmo davanti alla prospettiva di ridurre i servizi ai cittadini o bloccare le assunzioni dei precari perché le Regioni – spiegano Moncada e Polizzi – non hanno spesa corrente liberabile per aumentare la spesa del personale. Saremmo al paradosso, perché si sono prorogati i criteri della Madia, si sono incluse in questa legge di bilancio delle norme in deroga che ci consentono di stabilizzare, anche quei lavoratori che sono precari nel Covid e che non avevano i requisiti, quindi non avremmo un ostacolo normativo, anzi, in prospettiva la possibilità di assumere in maniera implementare in coerenza con i piani dei fabbisogni, ma questo è il paradosso, rischiamo che e a causa delle spese aggiuntive Covid le Regioni vedano il rischio di rientrare in una prospettiva di piani di disavanzo. Quindi dopo una serie di sacrifici imponenti fatti pagare ai cittadini per superare l’emergenza sanitaria ci troviamo di fronte ad una emergenza occupazionale reale che mina le fondamenta sistema sanitario pubblico, che è forte grazie alle competenze professionali degli operatori ma fragilissimo dal punto di vista organizzativo”. Per la Cgil, le risorse del Pnrr vanno investite in questa direzione.
“Se il Pnrr deve servire a qualcosa deve servire a consolidare queste reti utilizzando quel criterio che a livello nazionale abbiamo presentato al ministro Speranza il 10 ottobre del 2020 ossia, cura vuol dire prevenzione, acuzie, medicina di iniziativa ma anche riabilitazione vuol dire un progetto complessivo di presa in carico della persona. Le cure – aggiungono – devono essere di prossimità quindi più territorio ma un territorio diverso da quello che noi conosciamo che non sono i distretti ma le case della comunità. Il problema è questo noi rischiamo di avere tante case abitate da nessuno, né dai lavoratori perché non possiamo assumere e nemmeno abitate da cittadini perché non troveranno una soluzione adeguata rispetto ai bisogni che continueranno a gravare su un sistema sanitario che rischia di essere inappropriato, la risposta che non solo può essere quella ospedaliera o quella del medico di medicina generale. Noi rischiamo, pur avendo miliardi di euro a disposizione, di rendere la scommessa del Pnrr vana, perché adesso non stiamo costruendo quelle condizioni che ci consentano di fare in modo che il lavoro trovi risposta nella prima infrastruttura che serve al nostro, il sistema sanitario nazionale. Risposta che noi vogliamo sia pubblica. Altrimenti potremmo trovarci di fronte ad una realtà ben precisa, con il pubblico che costruisce infrastrutture e il privato che fa profitto su servizi di interesse generale su beni fondamentali. Ma questo vale non solo per la sanità, ma anche per l’istruzione e le politiche attive. Se non si assume nei centri per l’impiego, se non si ridanno le funzioni alle province, tutta la partita che riguarda le politiche attive sarà appaltata al privato. Questo non ce lo possiamo permettere. E’ in questi giorni che stiamo, a livello centrale, cercando di rinnovare i contratti ma noi vogliamo un contratto che risponde al sacrificio delle lavoratrici e dei lavoratore un contratto che sulla scia dell’innovazione deve rispondere nello Stato, negli enti locali, alla sfida della digitalizzazione e nella sanità alla sfida della trasformazione dei modelli assistenziali e noi dobbiamo dare strumenti attraverso la contrattazione per governare e migliorare l’organizzazione del lavoro, un contratto che dia risposte immediate a decine di migliaia di lavoratori medici, farmacisti, infermieri, biologi, fisioterapisti tecnici sanitari e Oss. Tutti quei professionisti in grado di garantire una risposta sanitaria pubblica, universale e corrispondente alle esigenze sanitarie del nostro territorio”.