Gela. I giudici della Corte d’appello di Caltanissetta hanno concesso un termine ai legali degli imputati, rivolto soprattutto a verificare diversi aspetti delle costituzioni, anche delle parti civili. Si è aperto così il giudizio di secondo grado, dopo le condanne per la morte dell’operaio trentenne Francesco Romano. Venne travolto da un tubo da otto tonnellate, alla radice pontile della raffineria Eni. In primo grado, lo scorso febbraio, il giudice del tribunale di Gela ha disposto la condanna ad un anno e otto mesi di detenzione nei confronti di Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi di reclusione, invece, per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta. Tutte le condanne, con pena sospesa. Solo tre imputati sono stati assolti. L’attività di indagine fu lunga e anche sul piano istruttorio, nel dibattimento di primo grado, ci sono volute approfondite analisi tecniche, che hanno permesso al giudice Miriam D’Amore di arrivare alla pronuncia. Questa mattina, si è posta la necessità di un termine ulteriore, a seguito di notifiche dei ricorsi che non hanno raggiunto tutte le parti. Romano era alle dipendenze della società Cosmi Sud, impegnata nell’indotto di raffineria. Le società, in relazione alle responsabilità amministrative, in primo grado sono state condannate al pagamento di trecento quote (da 500 euro). Decisione che tocca Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec. Imputati e aziende, in primo grado, sono stati condannati, inoltre, a risarcire i danni alla famiglia dell’operaio (i genitori e la moglie), che ha sempre seguito tutte le fasi. Le parti civili, fin dall’inizio dell’indagine, sono state rappresentate dagli avvocati Salvo Macrì, Emanuele Maganuco e Joseph Donegani, che in più occasioni hanno indicato quelle che ritengono pesanti irregolarità nella gestione del cantiere, finito poi al centro dell’indagine, coordinata dalla procura e condotta dai militari della capitaneria di porto. Romano lasciò anche due piccole figlie. In aula, si tornerà ad aprile.
Con i ricorsi, i legali degli imputati puntano ad una decisione favorevole, con l’assoluzione. Già in primo grado, esclusero responsabilità dirette rispetto all’incidente mortale. Il tubo da otto tonnellate si staccò da una catasta, collocata alla radice pontile, durante lavori di sostituzione della linea P2. Tra le accuse, quella di omicidio colposo. Per gli inquirenti, l’area di cantiere non sarebbe stata idonea e gli accertamenti hanno fatto emergere presunte anomalie nei piani di sicurezza. Accuse che vengono respinte dagli imputati. I difensori dei manager Eni hanno più volte ribadito che la posizione aziendale dei loro assistiti non poteva estendersi agli aspetti tecnici dei cantieri, non rientrati nelle loro funzioni.