Gela. Sedici anni e quattro mesi di reclusione da confermare. La procura generale ha chiesto la conferma della condanna. E’ questa la richiesta formulata dalla procura generale nei confronti dell’operaio metalmeccanico Vincenzo Valenti. Già in primo grado, lo scorso gennaio, venne condannato dal giudice dell’udienza preliminare Veronica Vaccaro con l’accusa di aver ucciso in strada, nel cuore del quartiere Sant’Ippolito, il fratello trentenne Alessandro. Il giovane, colpito alla gola con una lama, cadde in terra senza vita a pochi passi dall’abitazione di famiglia. La conferma della condanna è stata chiesta dal pg Fernando Asaro durante il giudizio di secondo grado che si sta svolgendo davanti alla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Ad impugnare il primo verdetto di condanna è stato il difensore di fiducia, l’avvocato Carmelo Tuccio. Stando alla difesa dell’operaio, infatti, non ci sarebbe stata nessuna volontà di uccidere ma solo il tentativo di difendersi dalla provocazione e dal tentativo d’aggressione da parte di Alessandro Valenti. Una linea contestata dai legali che rappresentano la moglie e la figlia della vittima, costituite parti civili. Gli avvocati Vittorio Giardino e Fabio Fargetta hanno sempre descritto una vera e propria aggressione condotta da Vincenzo Valenti ai danni del fratello: i rapporti tra i due si erano deteriorati da diverso tempo.
Parlano l’imputato e una delle sorelle. Durante l’udienza, una delle sorelle del’imputato, presente al momento dei fatti, ha confermato che l’alterco tra i due fu improvviso e molto rapido. “Ho visto Alessandro a terra, morto”. Vincenzo Valenti, invece, ha voluto rendere dichiarazioni spontanee davanti ai giudici della corte d’assise d’appello. Ha confermato di non aver avuto nessun’intenzione di uccidere il fratello che, invece, l’avrebbe prima provocato e poi aggredito alle spalle. L’operaio, quindi, si sarebbe solo difeso. Il suo legale di fiducia e quelli di parte civile concluderanno alla prossima udienza fissata per il 4 novembre. Non è da escludere che proprio in quell’occasione i giudici d’appello pronuncino il verdetto.