Gela. “Non ho mai camminato con Peppe Alferi. Non sono un mafioso, sono un padre di famiglia che lavora da trent’anni”. I furti alle aziende. Rosario Consiglio, finito a processo davanti al collegio penale presieduto dal giudice Veronica Vaccaro, ha scelto di rilasciare dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento che si sta celebrando nei suoi confronti. A giudizio, ci sono anche Francesco D’Amico, Gianfranco ed Eros Turco, Francesco Alma e Giuseppe Vinci. Devono rispondere di aver fatto parte del gruppo Alferi e di aver partecipato ad una serie di furti messi a segno ai danni di diverse aziende locali. Parte civile, con l’avvocato Vittorio Giardino, si è costituto Emanuele Mondello, titolare della Igc. In base alle accuse mosse dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, i furti sarebbero stati messi a segno su indicazione dei capi del gruppo Alferi. Furti mirati che avrebbero colpito non solo i cantieri dell’azienda Mondello ma anche una vasta azienda agricola e diverse altre attività. “Dopo aver subito due furti per un totale di circa sessantamila euro di danni – ha spiegato in aula l’imprenditore Emanuele Mondello – decisi di rivolgermi a Rosario Consiglio. Nei pressi della sua baracca per la vendita di meloni in via Tevere vedevo spesso gente che si muoveva nella raccolta del ferro. Mi disse, però, di non sapere niente dei furti”. Il pubblico ministero Elena Caruso ha posto domande anche a Vito Fraglica, titolare di un bar nella zona di via Venezia, che s’interessò di fare luce su una serie di furti messi a segno ai danni dell’azienda agricola gestita da alcuni familiari. “Ritrovammo uno dei mezzi rubati – ha detto – nei pressi di un casolare vicino all’abitazione di Sebastiano Alferi. Lo stesso Alferi, però, mi disse di non sapere niente dei furti. Il mezzo recuperato, dopo pochi giorni, venne di nuovo rubato e dato alle fiamme”. Nel corso dell’esame dei testimoni, non sono mancati vibranti botta e risposta soprattutto tra il pm Caruso e uno dei difensori, l’avvocato Salvo Macrì. Al centro del confronto, il contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni.
Il mercato delle baracche di meloni. Durante il suo intervento, proprio Rosario Consiglio ha confermato di aver venduto meloni all’ingrosso a Peppe Alferi che, intanto, aveva deciso di entrare in questo tipo di commercio. “Per il resto – ha ribadito – non ho mai avuto nient’altro a che fare con Alferi. Mi occupavo solo del mio lavoro. Non ho mai rubato per conto di nessuno”. Proprio il mercato della vendita ambulante di meloni è stato al centro degli approfondimenti condotti in aula dalla pubblica accusa. “Inizialmente – ha spiegato uno degli ambulanti chiamati a deporre – ognuno, poteva liberamente fissare il prezzo di vendita. Ad un certo punto, fu Emanuele Cascino ad imporre un prezzo unico a tutte le baracche. Se non avessi accettato la richiesta, mi avrebbe bruciato la rivendita”. Il confronto tra il pm della Dda e i difensori degli imputati, gli avvocati Carmelo Tuccio, Nicoletta Cauchi, Flavio Sinatra e, appunto, Salvo Macrì, si era aperto intorno alla produzione delle dichiarazioni rese da alcuni testimoni durante la fase del’incidente probatorio. E’ emerso, infatti, il tentativo da parte dei presunti componenti del clan Alferi d’intimidire i testimoni chiamati a deporre, con in testa il titolare di un centro gomme della città. Dichiarazioni spontanee sono state rese anche da Gianfranco Turco. “Ho commesso furti perché ho, sbagliato danneggiando la mia famiglia – ha detto – ma non ho mai fatto parte del gruppo degli Alferi”. Intanto, si ritornerà in aula il prossimo 9 dicembre. In quell’occasione, verranno sentiti tre collaboratori di giustizia, ovvero gli ex vertici di cosa nostra locale Carmelo Billizzi, Fortunato Ferracane e Crocifisso Smorta.