Gela. Amianto in fabbrica e una morte sospetta. Così, il pubblico ministero Elisa Calanducci ha chiesto il rinvio a giudizio per trentasette indagati. Imprenditori e manager Eni. Si tratta di imprenditori titolari di aziende impegnate nell’indotto Eni e di tecnici e manager del gruppo. Sono tutti accusati di non aver assicurato il rispetto delle norme a salvaguardia della salute di lavoratori finiti a contatto con le fibre killer d’amianto. L’indagine scaturì dal caso di un operaio, per anni impegnato tra gli impianti della raffineria di contrada Piana del Signore, deceduto dopo essere stato colpito da asbestosi. Adesso, sono i familiari che hanno scelto di costituirsi parte civile con l’avvocato Vittorio Giardino. Tra gli indagati, ci sono diversi titolari di aziende dell’indotto Eni.
Sì alle parti civili. Parti civili si sono costituiti anche altri lavoratori, rappresentati dagli avvocati Concetta Di Stefano, Paolo Testa e Antonio Impellizzeri. Il giudice dell’udienza preliminare Paolo Fiore ha detto sì alla costituzione di parte civile anche delle associazioni Aria Nuova e Ona, la sezione locale dell’Osservatorio nazionale amianto, con i legali Maurizio Cannizzo, Lucio Greco e Davide Ancona. E’ stata respinta, invece, la richiesta prodotta dal’associazione Amici della Terra, rappresentata in aula dall’avvocato Joseph Donegani. Stando al gup, infatti, nello statuto dell’associazione mancherebbe il riferimento alla tutela della salute dei lavoratori. Il legale, però, non esclude di riproporre la richiesta direttamente nel corso dell’eventuale dibattimento. Le parti civili ammesse si sono associate alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Calanducci. I difensori dei trentotto indagati, però, contestano le accuse e la possibile responsabilità non solo degli imprenditori ma anche dei funzionari di raffineria Eni. Le loro conclusioni verranno definitivamente esposte all’udienza del prossimo 9 dicembre. In quell’occasione, il gup Paolo Fiore dovrebbe pronunciarsi proprio sull’eventuale rinvio a giudizio.