Gela. Per il procuratore capo Fernando Asaro si trattò di abbandono di rifiuti pericolosi, reato non oblabile. Il magistrato, davanti al giudice Miriam D’Amore, si è opposto alle richieste preliminari dei legali di dirigenti Eni, a processo dopo che nei fondali del porto isola vennero ritrovati resti di lavorazioni e materiale ferroso. In base alle contestazioni mosse dalla procura, si sarebbe trattato di uno smaltimento illecito, con relativo danno ambientale. I legali degli imputati hanno prodotto documentazione che attesta l’effettuazione di interventi di rimozione di quanto individuato dai sub della capitaneria di porto. Non tutto però è stato recuperato e per il procuratore Asaro il procedimento deve andare avanti. Il dibattimento è stato aperto e i difensori hanno sottolineato che gli interventi non effettuati riguardano le aree di sedime, per vincoli imposti.
Le difese di Bernardo Casa, Alfredo Barbaro, Settimio Guarrata, Calogero Sciascia e Arturo Anania sono tornate a chiedere di poter accedere all’oblazione. La procura ha fatto richiamato pali e altre strutture ancora non rimossi. Il giudice si è riservato di decidere anche sulle richieste di produzioni documentali. Il Comune è parte civile, con l’avvocato Ornella Crapanzano, che ha avanzato istanza per la chiamata in giudizio, come responsabile civile, della società Raffineria di Gela. Le verifiche furono condotte proprio nel tratto di mare, adiacente il porto isola, nella disponibilità dell’azienda. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Grazia Volo, Carlo Autru Ryolo e Gualtiero Cataldo.
Per anzi di guardare qualche tubo depositato nei fondali e che certamente non inquina, farebbero bene a controllare il lato ponente del pontile eni ove si caricava il pet coke e che inevitabilmente lungo la caricazione alcuni residui cadevano a mare e dovrebbero trovarsi sul fondale.