Gela. Affrontare l’argomento dell’invasione piemontese del regno delle due Sicilie, è un argomento tragico che non trova più giustificazione né tra i meridionalisti né tra gli invasori nordisti.
La propaganda fu così capillare e forte che nel momento dell’occupazione dei Garibaldini, il popolo Siciliano era convinto d’aspettare i salvatori e i portatori di ori e benefici vari tra le quali la divisione delle terre ai contadini. All’arrivo dei Garibaldini i soldati dovevano dimostrare al Borbonico che non si dovesse combattere contro i fratelli Italiani, seguendo l’esempio dei “focosi romagnoli, vuoi degli astuti toscani, e infine degli spensierati ammiragli della mirabile flotta Napoletana, i quali ammainata la bandiera dei gigli, avevano issato quella Savoiarda”. Appena si accorgono di quello che stava preparando l’agognata unità d’Italia, rifiutano di arruolarsi nell’esercito sardo e, secondo i comodi dei vincitori, ebbero pensioni di fame e così tutto l’esercito di Franceschiello fu decimato dalla fame, dal tifo petecchiale e dalle fraterne granate del generale Cialdini, difficile potere evitare perché l’esercito dei Borbone sonnecchiava. Altri divennero briganti e furono costretti a ritirarsi nei boschi, per difendere quel poco d’onore (tolto dai piemontesi) che era rimasto ai meridionali, così l’appellativo di briganti rimane agli eroi meridionali che hanno combattuto per difendere la nostra Patria, vinta nell’indifferenza dell’Italia unita e dall’Europa orba. I ladri e assassini nordisti vengono chiamati partigiani e osannati da tutti, i nostri eroi, chiamati briganti, devono essere dimenticati e basta. Noi continuiamo a parlare di queste cose perché ci crediamo e perché i danni subiti sono tali e tanti che ancora oggi ne sopportiamo le conseguenze, e non ci scandalizziamo se alcuni nostri concittadini definiscono le nostre citazioni come fandonie meridionalistiche o altri , pur di accusare senza riflettere, pur essendo letterati, non capiscono o fanno finta di non capire il significato di una frase messa tra parentesi, mentre diventano epistemi certi dati ripetuti dalla storia. Abbiamo avuto l’occasione di leggere alcuni testi di autori letteralmente venduti ai Savoia e al sistema che loro stessi hanno creato, dove si è voluto dimostrare che lo stato Borbonico delle Due Sicilie, alla fine dell’800, stava implodendo su se stesso e tutte le industrie che nascevano non duravano che pochi anni. Ma l’autore si è dimenticato di scrivere che dopo il 1860, nel meridione non nasce più nessuna impresa e tutto il progresso si sviluppa solo al nord con il bene placido di tutti, anche dei meridionali venduti e tifosi del Torino, del Milan, dell’Inter o della Juventus o di qualche altra realtà del nord. All’inizio, qualche furbo che decise di passare con i fratellastri piemontesi si salvò, ma una volta consolidata la vittoria, i piemontesi dimenticarono dei traditori e nonostante la capitolazione sottoscritta in buona fede moltissimi furono incarcerati nelle segrete del castello, dove rimasero per un bel pò, mentre il generale Marulli, fu lasciato per morto, dopo le percosse, in mezzo alla strada. Molti si erano illusi che dopo la firma dell’armistizio avrebbero evitato di combattere per le strade di Palermo e l’esercito regio fu mandato a Messina alla famosa fortezza della cittadella, lasciando alle truppe di Reggio l’attacco al nemico.
Ma quelli di Reggio la pensarono esattamente come quelli di Messina e si affidarono a quelli di Caserta e poi a quelli di Napoli dove li raggiunse la sconfitta. Così i regi soldati di Francesco II videro crollare il regno delle Due Sicilie sotto i propri occhi, abbandonati dai codardi patteggiatori col nemico, videro crollare un trono non difeso, mentre ancora avevano le armi vendicatrici nelle mani. Tutti i militari superstiti più di ottantamila, cercarono di riunirsi ne i centri conosciuti per combattere i piemontesi, per difendere l’onore del Paese, della bandiera e del re, senza lagnarsi o protestare, fino al momento in cui da Gaeta calò la bandiera bianca con i gigli e il re partì acclamato e pianto dai superstiti, anche i feriti uscirono dagli ospedali e gridavano: “viva il re!”. Il generale Cialdini continuò l’attacco via terra, ma non ottenendo risultati positivi, invitò l’ammiraglio Persano di attaccare con le sue navi i Napoletani via mare, ma i risultati furono grotteschi. La regina Maria Sofia di Baviera, moglie del re Francesco II di Borbone, continuava a soccorrere i feriti con parole, frutta e dolci, incurante del pericolo che correva, un altro brigante che difendeva, la sua corona, il suo regno, il suo onore e il suo popolo fino al momento della resa. Tra i briganti che lottavano per lo stesso motivo della Regina, vengono invece, dai piemontesi catalogati come ladri e assassini perciò briganti, mentre dalla bibliografia ufficiale completamente dimenticati e tutti gli storici ufficiali sono preoccupati di trattare la grande lotta dei piemontesi contro i briganti del meridione, oscurando completamente i crimini commessi dagli assassini nordisti. Ora per non macchiare l’unità d’Italia di sangue ma si tratta di sangue meridionale inutile e non di sangue nordista importante e significativo. La storia scritta dai vincitori nordisti non lo prende in considerazione perciò Ninco Nanco deve solamente morire. (Fonte Carlo Alianello – La conquista del sud)
Continuo a chiedermi perchè Maganuco, se vuol citare Alianello, non si limiti a ricopiarlo invece di parafrasarlo con il risultato di imbottire i testi di strafalcioni grammaticali che li rendono a tratti incomprensibili. E almeno Alianello, pur raccontando frottole, sapeva che il Regno delle Due Sicilie era crollato nel 1860 – e non se ne può dunque trattare “alla fine dell’800” come sostiene il nostro eroe – e che i Savoia sono stati cacciati con un referendum nel 1946, settantacinque anni fa. P.S. Ma a Gela non c’è nessuno che possa spiegare al buon Maganuco cosa è stato l’ANIC?