Gela. Nove anni e sei mesi di detenzione per la sua presunta vicinanza al gruppo mafioso degli Emmanuello. Una vasta motivazione depositata dai giudici. Nelle scorse settimane, sono state depositate le motivazioni della sentenza di condanna ai danni dell’imprenditore edile Sandro Missuto. A pronunciare il verdetto in aula, lo scorso aprile, fu il collegio penale presieduto dal giudice Veronica Vaccaro, affiancata dalle colleghe Ersilia Guzzetta e Silvia Passanisi. In questo modo, i giudici accolsero la ricostruzione fornita in aula dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Onelio Dodero. Stando al pm, infatti, “Missuto fu amico dei mafiosi e non certo vittima”. In base alle indagini che, nell’estate del 2009, condussero all’arresto dell’imprenditore, il suo gruppo edile sarebbe stato pilotato, anche nell’aggiudicazione d’importanti subappalti, da cosa nostra e dalla famiglia Emmanuello. Una versione del tutto contestata, a conclusione di un lunghissimo dibattimento, dai legali dell’imputato, gli avvocati Boris Pastorello e Walter Rapisarda. In base alla difesa, Missuto e i suoi familiari “furono lasciati da soli perchè chi non pagava ai clan non poteva lavorare”. Gli stessi legali hanno ribadito che la presenza dei clan in cantieri milionari come quelli della diga Disueri era ben conosciuta anche dai manager d’aziende blasonate come la romana Safab, nonostante ciò pronti a chiedere il risarcimento dei danni subiti. Il collegio penale del tribunale ha redatto una vastissima motivazione che ripercorre l’intero iter dell’indagine che condusse al fermo di Missuto e dell’attività dibattimentale, contornata anche dalle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia.
Verso il deposito del ricorso in appello. Adesso, il caso di Sandro Missuto si sposta davanti ai giudici nisseni della corte d’appello di Caltanissetta. I difensori, infatti, stanno per completare il ricorso contro la sentenza di primo grado. Parti civili si costituirono diversi imprenditori che sarebbero stati vittime del presunto sistema imprenditoriale-mafioso. Sono stati rappresentati in giudizio dai legali Nicoletta Cauchi e Fabio Fargetta.