Gela. A giugno, i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta si sono pronunciati a conclusione del procedimento di secondo grado, scaturito dalla vasta indagine antimafia “Falco”. Le condanne sono state pronunciate, ma di entità decisamente inferiore rispetto a quello che era stato stabilito dal collegio penale del tribunale di Gela, che aveva emesso pronunce assai pesanti, riconoscendo per gran parte degli imputati anche l’aggravante mafiosa, non limitandola al solo Gianluca Pellegrino. I giudici nisseni hanno depositato le motivazioni, confermando che quello individuato dagli investigatori non era un gruppo legato alla criminalità organizzata, neanche sul fronte dello spaccio di droga. A Pellegrino, che i pm della Dda nissena ritennero anello di congiunzione tra i vecchi capi del clan Emmanuello e le nuove leve, i giudici di appello hanno riconosciuto la continuazione, con precedenti condanne incassate in passato. Gli sono stati imposti ventitré anni di detenzione e per altri tre capi di imputazione è arrivata l’assoluzione. La difesa, sostenuta dall’avvocato Giacomo Ventura (insieme al legale Ignazio Raniolo), anche in appello è tornata ad escludere che Pellegrino sia mai stato a capo di un’organizzazione mafiosa, attiva nel traffico di droga. Davanti ai giudici del collegio gelese, Ventura parlò di un “falco solitario”, ritornando sulla denominazione che gli inquirenti diedero all’indagine. La continuazione è stata riconosciuta anche a Giovambattista Campo, con la riqualificazione delle accuse legate al traffico di droga, riviste nelle ipotesi meno gravi. Nei suoi confronti, accogliendo la linea sostenuta dalla difesa, con l’avvocato Francesco Enia, non ha retto neanche l’aggravante mafiosa. La pena è stata ridotta a sette anni e tre mesi di reclusione, con la continuazione, rispetto ai tredici anni e otto mesi di primo grado. Tre anni, invece, sono stati imposti ad Alessandro Pellegrino, fratello di Gianluca (in primo grado erano stati dieci anni e due mesi); tre anni a Nunzio Alabiso (in primo grado erano stati quattro anni e un mese); due anni e otto mesi per Emanuele Faraci (in primo grado dieci anni e un mese); due anni e quattro mesi per Guido Legname (in primo grado sette anni e un mese); quattro anni ad Emanuele Puccio, con le circostanze attenuanti (in primo grado sei anni); due anni e sei mesi a Manuele Rolla, con la continuazione (in primo grado quattro anni e sei mesi); due anni a Melchiorre Scerra (in primo grado tre anni); due anni a Gaetano Davide Trainito (in primo grado due anni e otto mesi); tre anni ad Orazio Tosto (in primo grado tredici anni e sei mesi). Conferme sono arrivate per Rosario Perna, a due anni di reclusione, e Loreto Saverino, a tre anni. Sulla posizione di Tosto, i giudici di appello hanno anche disposto il dissequestro di una somma di denaro, individuata nel corso delle indagini.
Secondo i magistrati, i fatti ricostruiti dagli inquirenti non sono inquadrabili in un contesto di criminalità mafiosa né sotto l’ala protettiva di Cosa nostra. La procura generale, invece, aveva chiesto la conferma di tutte le condanne, senza alcuna revisione. Con il deposito delle motivazioni, non è da escludere che le parti possano rivolgersi alla Cassazione. Gli imputati sono difesi inoltre dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Rocco Guarnaccia, Ignazio Raniolo, Maurizio Scicolone, Raffaela Nastasi e Antonio Impellizzeri.